Léa dedicata a Chéri, di Colette

giovedì 19 agosto 2010

Racconto: La ballata dell'amore cieco (ispirato alla canzone di F. De Andrè)


La ballata dell’amore cieco
(ispirato a La ballata dell’amore cieco- F.De Andrè)
Isabella Borghese
Giugno 2006


Corinne è ancora dentro quel furgoncino bianco.
Graffiante, graffiata, sprezzante e sprezzata.
Eppure sceglie di vivere.
Come unica alternativa alla sua morte lascia che il suo istinto di sopravvivenza decida per la fine di un’altra vita.
E tra i rivoli di sangue che rendono rosso il lino bianco e le sue gambe Corinne, fulminea, a fatica e sfinita impugna quel bullock che si trova alla sua sinistra, mezzo coperto da uno straccio di daino vecchio, unto e strappato.
Lo impugna stremata, ma lo riesce a trattenere nonostante la poca forza che possiede.
Forse, ora, solo quella generata dalla rabbia e dal terrore.
Corinne stende il braccio per recuperare energia e subito dopo batte tre colpi secchi su quel cranio che ha di fronte fuori di sé, imbestialito e infuocato.
E quei tre colpi secchi bastano a massacrare la testa di Sandro e sono sufficienti a spargere altro sangue in quell’abitacolo che ormai puzza di violenza, feroce e disumana.
Questa volta non è il suo di sangue e a fatica ora Corinne toglie quel corpo dal suo, indossa una divisa di lavoro che Sandro teneva sempre nella parte anteriore del furgoncino, si pulisce la faccia coperta di sangue e si trascina fuori.
A stento e barcollante ma Corinne è finalmente fuori da quel furgone.

Senza tempo.

Corinne raggiunge la città dei Sassi.

Senza tempo.

Arrivava a Matera ubriaca di odio, disgusto, paura.
Riesce a dimenticare il suo amico Gary, ancora in Olanda e si convince di dover scordare per sempre anche la sua amata Praga e la sua seconda patria, Roma.
Nessuno deve sapere più di lei.
Nessuno deve avere a che fare con lei.
Nessuno deve sapere che lei si trova lì.
Pena, la morte.
Questi divengono così gli unici crucci mentali di Corinne.

E sola adesso vaga nella città.
Ogni giorno osserva la profondità di quel burrone, passeggia a piedi nudi per conoscere quelle pietre inermi su cui si muove.
E Corinne che non si lascia impressionare dalla loro freddezza rimane incantata dall’imponenza e dalla loro storia secolare.

Ha trovato subito alloggio in una piccola grotta.
Quello è il suo rifugio.
Unico e solo.
Un nascondiglio perfetto, Qui nessuno mi troverà, si convince.

Trascorre il tempo e le sue giornate scorrono nella solita routine.
Ogni mattina si spinge fuori dalla città dei Sassi e si ferma all’abituale Coloreria.
I soliti? Le chiede puntuale, rituale e coinciso il negoziante.
Si, grazie .
Così Corinne risponde ogni volta, parca di parole e con lo sguardo sempre rivolto altrove.
Si procura le tele e i colori per la giornata, poi acquista un rosso molto corposo alla bottega di fronte e solo dopo torna tra i suoi Sassi.


Quel giorno invece il negoziante le porge la mano destra pronunciando un, piacere! Alfred. Posso sapere il suo nome? E’ una pittrice? E’ qui per lavoro?
E in quell’istante lei – di tutta risposta- impetuosa e schiva raccoglie tutti i suoi acquisti per fuggire con un rapido, piacere, piacere Virginie.

Virginie…E così Corinne repentina decide di cambiare identità.
Stabilisce di non essere più Corinne.
Per nessuno.

E Alfred tra le pareti della sua coloreria rimane con lo sguardo fisso a osservare la bellezza di quella cliente.
Quell’esile corpo che ora si ferma nella bottega di fronte e che unico nella sua andatura mostra forme sinuose e ben proporzionate.
E’ bastato così poco ad Alfred per ritrovarsi innamorato di quegli occhi smarriti e sfuggenti.
A prima vista.
Lui, d’improvviso come un fulmine a ciel sereno, rimane estasiato e
disarmato di fronte a quello sguardo schivo, fugace e incomprensibile.
Un’espressione che sa suscitargli incomprensione, ma anche curiosità.
Quella donna, pensa Alfred, nasconde qualcosa o ha semplicemente un fascino indiscutibile.
Poi, proprio lui spinto da quest’interesse decide di abbassare la saracinesca del suo negozio.
Vi appende una targa con su scritto Torno subito e s’incammina a distanza per seguire Virginie e scoprire dove alloggia.

Lei procede con tutte le sue cose.
A passo lesto.
A testa bassa.
In silenzio.
Si affretta per raggiungere la sua grotta e dedicarsi ad un’altra tela.
E pensa di dover trovare un’altra coloreria.
Quell’Alfred meglio evitarlo - riflette Corinne tra sé e spietata - in caso contrario potrei ucciderlo.

E quell’Alfred invece procede pochi metri dietro di lei e solo con in tasca le chiavi del negozio.
A passo lento.
A testa alta.
Fischiettando.
Immagina e senza dubitare che Virginie non si possa voltare indietro. Così lui prosegue rilassato e indisturbato.
E svagato e stimolato pensa di volerle regalare dei fiori, forse dei gigli, forse.

Corinne dopo venti minuti di cammino si ferma di fronte a una grotta. Poggia per terra le sue due buste e cerca nella borsa un mazzo di chiavi.
E’ appena arrivata a casa.

Alfred ha felicemente raggiunto il suo obiettivo.
Corinne entra nella grotta.
Chiude l’uscio, si affaccia alla finestra e si guarda intorno. Sembrerebbe che Alfred sia andato via – mormora- devo trovare il modo di liberarmi di lui.

Poi prosegue, senza tempo.

Prosegue ancora.

Prende una tela e due colori.
Corinne dipinge sempre e solo con due colori.
Sceglie quelli che le sembrano in sintonia con la sua giornata.
Opta per il nero e il rosso, due primari. Due tinte forti.
Perchè quell’incontro le ha rovinato il decorso delle ventiquattro ore.

Rinuncia persino a pitturare sul viale.
E sceglie di aprire il cavalletto in quei trenta metri quadri e svita quei due tubicini ad olio da spremere sulla tavolozza.
Le manca il pennello di dieci millimetri, ma Corinne non si preoccupa di questo, userà quello poco più grande e quello leggermente più piccolo.
Del resto, pensa, oggi dipingo di rosso la luce che entrava nella coloreria e di nero la voce di Alfred quando si rivolgeva a me, ammette Corinne e va bene anche il pennello di un centimetro e mezzo si, si va bene senza dubbio.
Nel frattempo lei tra i suoi fluidi e vibranti pensieri è intenta a sistemare tutto il necessario.

E nei suoi discorsi mentali sembra come impazzita.
Ormai vive dentro di sé, per sé, attenta e accorta ad allontanare chiunque gli si avvicini.

Alfred nel pomeriggio si ferma per quel giglio dal suo amico Paolo, nonché il fioraio.
“Paolo, mi porteresti un giglio bianco alla grotta vicino la fontanella? Quella che si affaccia sul torrente, vicino alla bottega di Zio Michele”.
“Certo, ma per chi è? Ti serve un biglietto?”
Alfred è in silenzio come chi sta pensando a una scelta da fare, poi si fa dare una penna e butta giù due righe: ”Nessuna tinta vale il colore dei tuoi occhi Virginie. Ti invito per un tea domani pomeriggio, Alfred”.
Poi lo legge. Lo rilegge e lo ricontrolla un’ultima volta.
Non sembra del tutto convinto, ma alla fine lo ripone dentro la bustina e lo consegna a Paolo.
“Se vai adesso –lo incita Alfred - la trovi di certo.
“Ma chi? Alfred, chi? Chi è che dovrei trovare subito?”
“Virginie!”
“Virgie…Chi? Vuoi dirmi la francesina?”
E Paolo comincia a ridere di gusto.
“Che c’è che ti fa divertire tanto?”.
“C’è che quella donna è pazza, ma non la vedi?- prosegue Paolo- Non parla con nessuno da quando è arrivata, cammina sempre a testa bassa. Non è mai venuta una sera in piazzetta tra noi ragazzi. Non fa altro che dipingere e se qualcuno le rivolge la parola sembra quasi scappare…Ma che dico sembra, fugge proprio lei! Ti sembra normale? Lascia stare, quella è tanto bella quanto folle. Te lo dico io che sono amico tuo, ricordatelo”.
Così Paolo conclude il discorso, dà una pacca sulla spalla ad Alfred e riprende, ti ho convinto? Hai cambiato idea, vero?”
PORTA- SUBITO- QUEI FIORI - A VIRGINIE.
Queste sono invece le ultime parole di Alfred.
Poi lui torna ad aprire il negozio.
E Paolo fa la sua composizione mentre borbotta qualcosa del tipo fosse più matto lui di lei, mah…
Poi sale in bici e si dirige verso i Sassi.

Corinne è lì.
Assorta nel suo mondo come fosse totalmente ovattata e lontana da tutto e immersa nella sua tela si gusta un calice di Carmenero per farsi compagnia.
Poi se ne beve un altro, un altro, un altro ancora… Ce ne sono di bottiglie da svuotare nella sua grotta.
E lei è lì, persa tra quei gradi alcolici a dar inizio al suo delirio.
Strepita i suoi silenzi sobri.
Singhiozza le sue lacrime trattenute.
Graffia il suo corpo sinuoso.
Strappa quella tela.
Insulta quella testa massacrata come fosse ancora viva e adesso impreca persino contro quel povero Alfred che si è solo innamorato di lei.

E Alfred è un brava persona.
Un uomo onesto, un uomo probo , forse anche troppo.
Lavora nella Coloreria del padre da quando ha finito gli studi.
Non è un ragazzo ambizioso, ma vive bene così.
Nella tranquillità del suo lavoro.
In qualche sera libera ad aiutare l’amico Geppo nella gestione di una trattoria.
In qualche altra da trascorrere con quei pochi amici fidati che si porta dietro da quindici anni.
Loro sono gli amici di scuola.
E quelli dei primi baci, dei primi beveraggi, dei primi sballi da strada, delle prime storie serie e delle prime scopate.
Gli stessi che poi crescendo hanno preso strade diverse: chi si è sposato.
Chi ha già divorziato.
Chi ha un figlio senza avere più un compagno.
Chi si è trasferito all’estero.
Chi studia ancora.
Chi è felicemente innamorato.
Chi invece lavora come Alfredo.
E quello che a lui piace della sua vita è anche questo: ritrovare sempre i suoi amici nonostante ormai percorressero strade diverse.
Parallele, ma differenti.
E nella sua strada Alfred è stato lasciato dopo undici anni da Laura con uno sbrigativo ma deciso sei troppo buono, troppo onesto, sempre attento, sempre accondiscendente.
Non ti amo più, forse ora preferisco gli uomini stronzi.
Mi dispiace, davvero credimi. Cosa pensi? Che non mi dispiaccia dirti che non ti amo più? Che non ti desidero più? Che non ti penso quando non ti vedo?
E lui aveva ascoltato ogni parola ricevendola come una pugnalata al cuore, ogni singola parola per lui aveva un suono acre e persistente .
In quei momenti assorbiva, passivo, sofferente e muto.
O forse solo accondiscendente anche in quell’occasione.
E’ finita, pensava, mi sembra ovvio, si convinceva.
E poi s’era seduto.
Mentre Laura con nonchalanche aveva ripreso la sua borsa, tirava un respiro di sollievo e si congedava con uno striminzito Più di questo non so che dirti, meglio che vada. Ciao, perdonami.
Questo succedeva cinque anni prima e quella l’ultima volta che Alfred aveva visto e parlato con Laura.

Durante il tempo trascorso Alfred non ha perso stima per le donne eppure tralasciando qualche storiella da chiacchiera da bar, lui rimane l’uomo che se perde la testa la perde a lungo.
E purtroppo o per fortuna è anche l’uomo che si può innamorare solo per uno sguardo.
E questo Corinne lo ignora.
Lei non sa che Alfred ha un’unica colpa: si innamorò perdutamente di una che non l’amava niente.

Paolo arriva davanti a quella grotta e sente strane urla provenire da lì dentro.
Sceglie la fuga.
Bussa due colpi irruenti con la maniglia di acciaio.
Lascia quel giglio col biglietto attaccato in terra.
Monta sulla bici e scappa senza neanche ripensarci.
Gliel’ho detto io ad Alfred che questa è matta.

Corinne copre i graffi sul suo corpo poi tesa e con fare circospetto
si avvicinava alla porta.
Chi è?
Chi è?
CHI E’?
L’ultimo chi è pronunciato secco e sonoro.
Poi si sposta vicino la finestrella, si accorge che non c’è davvero nessuno e così decide di riaprire la porta.
Per Corinne quel giglio è una pessima sorpresa.
Pessima.
Lo raccoglie con veemenza, come una furia, legge il biglietto ad alta voce e lo stropiccia ridendo.
“Ah Virginie, Virginie, Alfred ti invita per un caffè – blatera ghignando - Sì certo che verrò, ma per un tea e fa che sia bruciante come alla fine brucerai tu. Lo dicevo che dovevi starmi alla larga”

Corinne in effetti è fuggita da quel furgone ritrovandosi crudele e irrazionale, lucida solo a tratti.
Troppe volte appare sadica, assetata di sangue maschile.
Forse è la sua vendetta, la sua paura.
E si graffia. Si graffia come fosse accaduto tutto per colpa sua.
E odia gli uomini come se fossero tutti come Sandro.
E dagli uomini vorrebbe essere solo lasciata in pace.
Nel suo dolore e nei suoi silenzi forse sta impazzendo davvero.

Paolo arriva di fronte al negozio di Alfred, fa suonare il campanello, gli fa un segnale del tipo missione compiuta e torna ai suoi fiori.

Alfred tra i suoi colori e i suoi pennelli ha già l’atteggiamento di chi aspetta una risposta da un momento all’altro.

Corinne invece diabolica continua a dipingere e a meditare un piano, senza pensare ad alcuna risposta.

Arriva sabato.

Alfred si sveglia trepidante.
Corinne si alza indispettita.
Trascorre la sua mattinata seduta sul muretto di fronte alla sua grotta per guardare quel torrente che scorre inesorabile sotto i suoi occhi e per dar da mangiare a quei cani.
Gli unici da cui si lascia avvicinare a Matera.

Alfred apre il negozio.
Lui è ancora in attesa.
Eppure sembra certo che qualcosa potrebbe succedere.
Me lo sento, dice tra sè, Virginie verrà per quel tea, non ho dubbi.


Come pronosticato da Alfred alle cinque di pomeriggio Juliette si presenta al negozio.
“Ciao Alfred, allora andiamo a questo rendez-vous?”
“Certo, Virginie. Solo un attimo, devo chiudere il negozio”
Poi riprende quel Torno subito del giorno precedente e non si preoccupa affatto di dover abbassare la saracinesca durante l’orario lavorativo.
Lui è accondiscendente fin troppo, anche in quest’occasione.
Forse Laura aveva parlato a ragione nel lasciarlo.

Corinne e Alfred si avviano verso la sala da tea.
Alfred le apre la porta, le fa largo con il braccio, poi si dirige verso un tavolino un po’ in disparte.
Prego, Virginie.
E le sposta la sedia per farla sedere.
“Cosa prendi Virginie?”
“Un tea ai frutti di bosco”
“Un tea ai frutti di bosco! Mai assaggiato, lo prenderò anche io, mi fido di te.
Corinne lo guarda quasi impassibile, indifferente.
Questa ragazza è timida, riflette Alfred, devo prendere in mano la situazione.
Con il savoir faire modello ragazzo imbranato che vuole mostrare una sicurezza che non gli appartiene Alfred parte in quarta con le sue disquisizioni…Eh si, l’amore…. Sei fidanzata? Perchè io….(e giù a raccontargli la storia di Laura)…E poi il lavoro (e giù con il lavoro )…Ma il bello è che il tempo libero…(e le racconta del suo tempo libero)…Perché mio padre m’ha insegnato…( è il turno degli insegnamenti paterni)…E da allora mia madre…(qui parte con un elogio della madre decisamente senza misure).
Alfred in effetti è il classico uomo che senza problemi sa dire mia madre prima di tutto e tutti, glielo devo.
E nell’ascoltare quelle divagazioni la testa di Corinne si è già persa. E’ altrove e sembra che si sia messa già in movimento.
Tua madre prima di tutto? Adesso vedremo. Queste le uniche parole pensate dalla diabolica Corinne durante quel tea ai frutti di bosco.
Poi senza guardare Alfred negli occhi Perché quei fiori?, gli chiede, Perché mi hai seguita? Ti ho visto, cosa credi?
“Sai, quando ti ho conosciuta, beh è inutile che te lo nasconda…Credo sia amore a prima vista…Da quattro anni non mi succedeva QUATTRO…E certi treni, beh, com’è che si dice…Certi treni non ripassano, no?” E aggiunge una risata pensando che lei lo stia per seguire.
Inutile dire che Corinne è sempre glaciale.
Certi treni deragliano caso mai, mio caro Alfred, pensa Corinne, Sei salito su quello sbagliato. E soprattutto ci sei salito da solo.
Poi d’improvviso lui esce, torna al negozio dell’amico e rientra in quel bar con un mazzo di rose rosse e una bianca in mezzo.
“Mi sono innamorato di te, ne sono certo…Tu sei per me come quella rosa bianca, unica tra tante rose rosse…Farei qualsiasi cosa per te, davvero…Puoi mettermi alla prova se non ci credi Virginie, puoi mettermi alla prova…”.
Corinne lo sta osservando con attenzione, pensa di aver trovato pane per i suoi denti.
Così si alza di scatto “Vedremo, vedremo se è davvero così. Se vuoi stasera ti aspetto di fronte casa mia, al muretto vicino la fontanella. Ho del Carmenero da offrirti”
“Grazie Virginie, ci sarò!”
Poi Corinne si alza, ci vediamo più tardi pronuncia e se ne va.

Si allontana da quel bar tramando per quel dopocena con un’irragionevolezza che nella sua testa prende piede sempre più.

Arriva la sera.

Alfred si presenta da lei puntuale, ben vestito e con l’idea che quella serata avrebbe portato solo cose belle.
“Ciao Virginie, posso entrare?”
“Ora arrivo Alfred, un attimo”.
Corinne gli risponde da dietro la porta senza neanche aprirla.
Pochi minuti dopo si presenta da lei.
Con quel Carmenero nella mano destra e due calici nella sinistra.
Poi accosta l’uscio e si siede sul solito muretto.
“Ma non entriamo Virginie?”
“Non si può”
Corinne è abile a mentire. Conosce l’arte della menzogna.
E versa quel rosso nei due calici.
“Alla nostra conoscenza, Virginie!”
“Al tuo: farò qualsiasi cosa per te!” ribatte lei.
Alfred rimane interdetto.
Il fare di Virginie gli appare piuttosto discutibile, ma ancora affascinante.
Il fascino vince ancora su tutto.
E lui si mostra quasi vanitoso di questo amore.
Questa donna ha bisogno di sicurezza – riflette- Farò il possibile e l’impossibile per te Virginie - la rassicura.
Lei ride, arcigna e inquietante.
Ride e aspetta solo il momento giusto per esprimersi.

E’ trascorsa un’ora e quella bottiglia di Carmenero è svuotata di fronte ai loro occhi.
Alfred annebbiato e brillo.
Quel beveraggio comincia a farsi sentire.
Corinne se ne accorge e pensa che sia davvero arrivato il momento di parlare.
Senza mezze misure, poi lui avrebbe detto la sua.
“Virginie, sono tuoi questi cani?
“No. Immagino che vivono qui da sempre. Li ho trovati qui al mio arrivo. Sono sempre affamati, mi prendo solo cura di loro. E tu, se dici di essere così innamorato di me potresti aiutarmi”
“Certo Virginie, in che modo? Dimmi e sarà fatto”
Portami domani il cuore di tua madre per i miei cani. Corinne si esprime con molta freddezza.
E Alfred sgrana gli occhi rossi e socchiusi per quel vino che avevano tracannato.
Ma non sembra troppo sconvolto per la richiesta.
“Il cuor di mia madre? Virginie! Vuoi il cuore di mia madre per i tuoi cani?”
“No, voglio il cuore di tua madre come prova della tua passione, del tuo amore per me”
“Oh! Virginie avrai tutto da me. Tutto.”
“Bene allora puoi andare”
Così Corinne decide di licenziarlo senza altre parole.
“Tornerò domani, Virginie. Tornerò domani con quel cuore”

Alfred se ne va per nulla scosso, ma con la vanità e l’ardore di chi sta per dimostrare qualcosa di veramente grande.
Corinne, dal canto suo, lo osserva mentre si allontana e ride.
Sadica e assetata di sangue come sa essere lei.
Poi entra in casa e si mette a dormire nell’attesa del giorno seguente.

Alfred raggiunge la casa.
E sdraiato sul suo letto, pensa al modo più indolore per prendere quel cuore.
Ma senza titubare, neanche per un attimo.
Lo deve prendere.

La mattina seguente si sveglia alle sei.
Con il rumore dei piatti che la madre Altavilla sta lavando.
Alfred si alza, raggiunge il bagno, cerca quelle gocce di Remeron30 tra gli scaffali di quel mobile di fronte alla doccia.
Lo trova e pensa che di lì a poco avrebbe strappato quel cuore.
Inaspettatamente glaciale e spietato pure lui.
Va in cucina, senza neanche salutare; la madre ha lasciato il suo bicchiere di latte caldo sul tavolo nell’attesa che si raffreddi un po’. Come fa ogni mattina.
Alfred ci mette dentro la boccetta di Remeron30, aspetta che la madre ingurgiti quel bicchiere e che di lì a poco caschi a terra moribonda e priva di sensi.
E aspetta un po’, il tempo che sia abbastanza stordita e priva di sensi.
Poi corre al negozio per mettere un cartello.
Chiuso per ferie c’è scritto e senza alcuna data che dia delucidazioni sulla riapertura.
Rientra in casa , guarda il corpo della madre in terra e come richiesto da Corinne, Alfred dalla madre andò e l’uccise, dal petto il cuore le strappò.
Ecco la mia prova d’amore per Virginie.
Questo il suo unico pensiero.
Come se non si rendesse conto della sua azione.
Come se Paolo nel pensare fosse più matto Alfred di quella francesina, ci avesse colto in pieno. Chissà…

Alfred conserva quel cuore in un domopak di plastica e aspetta il pomeriggio.

E alle sedici dal suo amore ritornò.
Ripone quel cuore in un sacchetto nero che non faccia trasparire il contenuto.
Poi ossessionato, impazzito e incosciente si dirige dalla sua Virginie.
Dopo questa prova d’amore, si convince, sarà mia.

Arriva da Corinne.
Ecco il cuore per i tuoi cani Virginie.

Alfred ignora la cosa più importante Non era il cuore, non era il cuore, non le bastava quell’orrore, voleva un’altra prova del suo cieco amore.

Così Corinne poggiando quel cuore sul muretto, guarda cinica e inumana quell’uomo e aggiunge solo poche parole:
Gli disse amor se mi vuoi bene, gli disse amor se mi vuoi bene tagliati dei polsi le quattro vene.

Alfred si allontana.
Senza dire una parola fugge e rientra in casa.
Cerca una lametta.
Se questo è l’unico modo per conquistare quella donna Alfred non si sarebbe fermato.
In men che non si dica segue le indicazioni della sua Virginie: le vene ai polsi lui si tagliò
e come il sangue ne sgorgò
correndo come un matto da lei tornò.

Sanguinante, morente, fuori di testa, succube di una vanità irrazionale e letale corre da quella donna.

Fuori soffiava dolce il vento
ma lei fu presa da sgomento
quando lo vide morir contento.
Morir contento e innamorato
quando a lei nulla era restato
non il suo amore non il suo bene
ma solo il sangue secco delle sue vene.

Alfred muore contento.
Corinne rimane in vita.
Lei da sola.

Senza tempo.

E vince così la vanità di uno spirito cieco, irrazionale e innamorato e la vanità di un animo cinico spudorato e sofferente.

Così finisce questa storia senza tempo.
Con le ultime note di una ballata.

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