
da LE RADICI ALTROVE, di Shubnum Khan - NOVA DELPHI LIBRI
Alcune persone dedicavano la vita alla tristezza, all’amore o alla carriera. Khadeejah l’aveva dedicata alla cucina. Il modo in cui un dito carezzava un pomodoro succoso, o in cui la lingua si muoveva su un’ottima salsa al tamarindo, il sospiro esalato dopo un gustoso biryani donavano a Khadeejah un piacere che non aveva trovato in nessun’altra parte della sua vita. Nei suoi cibi metteva il cuore e l’anima (mescolati a un pizzico di tristezza e d’amor perduto). Le persone che assaggiavano i suoi piatti guardavano la vecchina curva davanti a loro con occhi nuovi. Sentivano di conoscerla attraverso il gusto del suo cibo. Venivano toccati nel profondo. Nei fiocchi di riso candido percepivano la sua gentilezza; nei saporiti stufati di carne avvertivano la sua passione e nel dolce sarbath lattiginoso coglievano la sua tristezza e, dopo il primo sorso, rimanevano per un attimo in silenzio. Khadeejah diveniva parte del cibo e, attraverso il cibo, gli altri divenivano a loro volta parte di lei. (...)
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