Léa dedicata a Chéri, di Colette

lunedì 13 dicembre 2010

IL BUS SI E' FERMATO, di Tabish Khair - Nova Delphi



su www.novadelphi.it: http://www.novadelphi.it/component/djcatalog2/item/6-tabishkhair/9-il-bus-si-e-fermato.html


È un’India per molti versi sconosciuta quella che emerge dalle pagine de Il bus si è fermato. Una terra affascinante nelle sue contraddizioni, sospesa tra tradizione e modernità. Un malfermo bus diventa palcoscenico di un’umanità bizzarra e vitale. Personaggi come l’autista Mangal Singh, che ripensa ai sogni irrealizzati mentre porta avanti un lavoro che non ama; Farhana, bellissimo eunuco, a tal punto delicato e femminile da ingannare anche le altre donne; Zeenat, serva spregiudicata e sensuale, maestra nell’arte dell’amore. Storie che compongono il mosaico reale e suggestivo di una terra che ci è concesso conoscere quasi fosse la prima volta. Khair racconta con linguaggio immediato e sguardo ironico un’India lontana dagli stereotipi, a tratti crudele ma prepotentemente vera.

giovedì 9 dicembre 2010

Le pietre di Rose per la collezione Natale 2010: Femmes pour les Femmes




UNA LUNGA STRADA DA FARE, di Peter S. Beagle - MATTIOLI1885




Peter e Phil sono giovani artisti, condividono un’infanzia ebraica nei quartieri del Bronx, la passione per la musica, Tolkien, le canzoni di Brassens e gli scooter. Partono così per un viaggio in scooter da New York alla California che li vede osservatori stupiti e ironici di un paesaggio sognante. In uno dei suoi pochi testi autobiografici, Peter Beagle, allievo di Wallace Stegner e compagno di strada di autori come Larry McMurtry e Ken Kesey, svela tutto il suo umorismo jewish, la sua capacità affabulatoria e la passione per la musica, da sempre la sua seconda attività. Un mix esplosivo e caustico di avventure e gag.



Peter S. Beagle è nato nel 1939 a New York, da una famiglia di artisti, scrittori, musicisti e soprattutto pittori (i suoi zii erano i famosi fratelli Soyer). Ha pubblicato il suo primo romanzo a 21 anni. Ha lavorato come musicista, cantante e insegnante di scrittura creativa. Attualmente vive a Oakland in California e lavora a numerosi libri, fra cui un seguito del suo celebre L’Ultimo Unicorno.

venerdì 3 dicembre 2010

Collezione Natale 2010: SATIS-FLEUR



SATIS-FLEUR

SENZA COLPE, di Felice Cimatti - marcos y marcos



Nel Centro per lo studio della coscienza animale fanno strani esperimenti sugli scimpanzé.
Gli animali ne escono sconvolti, a volte gravemente feriti.
Il dottor Sauvage, scienziato senza scrupoli, vuole capire se in certe condizioni anche gli animali possono diventare crudeli come gli uomini.
Un giorno Sauvage scompare.
La sua auto è nel parcheggio del centro, ma di lui non c’è traccia.
L’ispettore Mark Soul varca i cancelli di quello strano carcere per animali.
Incrocia sguardi avviliti, vede zampe, così simili a mani, stringere le sbarre delle gabbie, sente le urla di uno scimpanzé ferito.
Ma cosa fate a queste povere bestie?, chiede a tutti, d’impulso.
Il silenzio che lo circonda è omertoso, risentito, nessuno sembra veramente interessato a parlare, soprattutto a far luce sulla scomparsa di Sauvage.
Poi, inaspettatamente, salta fuori un testimone.
Anzi, all’improvviso i testimoni sono tanti, tantissimi. Bastava cercarli, ma Soul è impaziente, e non è il suo unico difetto.
Soul dovrà imparare che prima di fare una domanda bisogna essere capaci di ascoltare, anche chi non ha niente da dire.


Senza colpa è un noir etologico che smaschera tutti e non assolve nessuno.






“All’improvviso si apre una porta, vedo un uomo e dietro di lui una fila di celle, occhi tristissimi che ti fissano, e mani pelose che stringono le sbarre, e per un attimo scorgo una scimmia che si dimena furiosa mentre viene portata via. Il suo sguardo si fermò su di me, ma senza davvero vedermi. Uno sguardo che mi aveva lasciato sconvolto e avvilito. Ecco, è proprio la parola giusta, avvilito, come se avessi fatto qualcosa, o visto qualcosa, che sarebbe stato meglio, molto meglio, che non avessi visto.”

IL MALINTESO, di Irène Némirovski - Adelphi





Attraverso l'apertura del soprabito tormentava nervosamente la collana di diamanti che portava al collo; (...) Avrebbe voluto strapparsi di dosso quelle pietre preziose, lanciarle a Yves e dirgli: "Prendile, basta che tu sorrida...". Ma come si fa a comprare la felicità? (...) (da Il malinteso - di Irène Némirovski - Adelphi)

giovedì 2 dicembre 2010

ALLA GRANDE, di Cristiano Cavina - marcos y marcos




Casola Valsenio, Romagna.
In viale Neri, in cima alla salita del viale delle Rimembranze, ci sono le case popolari.
Ci abitano il Mago Mammola, con le gambette arrossate e piene di lividi; e Mone, che non vuole che lo guardi quando scende le scale.
E Noemi la matta, che le porta da mangiare la panda dell'assistenza sociale.
Ci abita soprattutto Bastiano Casaccia, detto anche Bla.
Di babbo si sa poco o nulla, mamma è una tigre che nasconde un agnello, nonna e la gatta giocano a fare i soprammobili.
Una peste, Bastiano: un dolce pirata, un po' ingenuo ma pieno di grinta, e leale.
Pensieri limpidi, quelli di Bastiano, ma il cuore batte per le malefatte di zio Paolo, fuggito in Germania dopo un clamoroso furto di pellicce.
Sfreccia per il paese con la bicicletta - la sua Turboberta - come cavalcasse una pallottola.
E stupirà tutti, di questo è sicuro, costruendo un favoloso sommergibile, alla faccia di Mirko Contoli, piagnone e riccastro rivale in amore.
Ma nel mondo grandioso e avvincente di Bastiano si nasconde un'insidia.
Qualcosa nascosto dentro di lui.
Un ostacolo oscuro, un nemico assoluto che occorre affrontare.

Collezione Natale 2010 - Rouge passion

mercoledì 1 dicembre 2010

LA CERIMONIA DEL MASSAGGIO, di Alan Bennett (2001) Adelphi





Perché la cerimonia del massaggio? Perché in questo breve gioiello inglese il protagonista è il cadavere di un massaggiatore, Clive. E perché la cerimonia funebre viene recitata da un sacerdote, padre Geoffrey, peraltro un tempo suo amante segreto. Eppure questo funerale non sembra essere altro che un pretesto per soffermarsi su una miriade di personaggi diversi, nonché sconosciuti tra di loro che tuttavia conoscevano Clive e che si ritrovano a disquisire su di lui diversamente. Clive, sembra chiaro, doveva fare il massaggiatore più per passione che per bisogno, non a caso i suoi massaggi proseguivano con pratiche sessuali. Questo funerale diventa allora il tempo in cui numerosi personaggi si incontrano pur scontrandosi notevolmente con la chiesa: ecco che il lettore si imbatte in alcuni di loro che con estrema nonchalance riescono a scambiare un’acquasantiera per un posacenere. Lo scenario mantenendo sempre una parvenza di compostezza che ha molto del borghese diventa affascinante per un editore, presente alla cerimonia con una scrittrice che conosceva il defunto e che decide di scriverne un libro. E diventa una cerimonia curiosa perché durante la celebrazione una donna reputa opportuno condividere con il resto dei presenti “il tocco corroborante” di Clive e perché a poco a poco si scopre che il massaggiatore stesso in vita veniva chiamato in differenti modi: una donna lo chiamava Philip, ”perché Philip –ammette – è come lui si sentiva dentro”. Un altro lo chiamava Bunny, Tobis, Alex e perfino Denis, Max… E senza capire esattamente il come e il perché Bennett ci condurrà in un funerale in cui si arriverà persino a parlare dell’omosessualità di Clive, di Aids e davanti agli occhi di una zia seppur di ampie vedute.
Dopo Nudi e crudi (1996) Alan Bennett riesce ancora a far ridere. Ma questa volta durante un funerale, situazione decisamente poco ilare e mantenendo sempre uno sguardo pungente nei confronti del borghese.

martedì 30 novembre 2010

NUDI E CRUDI per L & B - di Alan Bennett - Adelphi




‎"stasera sua moglie portava una collana" disse croucher. "anche piuttosto vistosa". "ah, sì?". mr ransome non ci aveva fatto caso. domandò alla moglie "la conosco, quella collana?". "no. ti piace? l'ho comprata all'alimentari. "l'alimentari?". "non posso mica sempre mettermi le perle".


Non c’è da ridere né da sorridere nel sapere che una casa viene svaligiata dai ladri. Nulla. C’è da divertirsi però se la casa saccheggiata è quella di Mr e Mrs Ransome in Nudi e Crudi, di Alan Bennett, apparso per la prima volta nel 1996. Il portiere la sera del furto invece di essere in poltrona, come suo solito, è a teatro. I Ransome, proprietari della casa in questione invece, sono all’opera a sentire Così fan tutte e quando rientrano non trovano più nulla: né il telefono per chiamare la polizia, né la carta igienica, né il televisore, né il lettore CD. Persino la polizza, insieme agli altri documenti, gli è stata rubata. Mrs Ransome non ama i gioielli, ma per andare all’opera ha scelto di mettere le perle e così di queste non è stata rapinata. I Ransome sono così costretti a una vita spartana che la moglie però comincia ad apprezzare come fosse una trasgressione. Del resto, scrive Bennett a ragione, l’uomo potrebbe fare a meno di tante cose, il fatto è che non riesce a far meno di comprarle. Tuttavia Mrs Ransome ammette di sentire la mancanza di quegli oggetti che la riconducono ad altro: il cappello verde col pompon , mai messo, che lasciava sempre sulla console nell’ingresso per ricordarsi che aveva acceso lo scaldabagno.
Le pagine di Bennett riveleranno la verità di questo furto mentre Mrs Ransome troverà l’occasione per evadere e uscire da una vita matrimoniale in cui è intrappolata da trent’anni . Mr Ransome invece resterà ingessato nelle convenzioni di un borghese che in casa crede di nascondere ancora foto pornografiche riposte in un libro di ricette di cucina. Tutto fa credere che da questo furto Mrs Ransome sia la persona che ne guadagnerà di più. Un racconto lungo tanto ilare quanto cinico.

lunedì 29 novembre 2010

LO STRAPPACUORE, di Boris Vian letto da Rose - marcos y marcos






Lo strappacuore,
di Boris Vian
Marcos y Marcos

Isabella Borghese
per Blue- luglio 2009

Cosa rende Lo strappacuore di Boris Vian un romanzo "strappacuore"?
Clementina in un casa lungo la costiera partorisce tre gemelli Noël, Joël, Citroën,
anche figli di Angelo. Lui è l’uomo poco amato e sopportato dalla donna e il padre
che i tre figli guarderanno con ironia mentre cresceranno, in numerosissime occasioni,
schierandosi sempre dalla parte di lei. Giacomorto è lo psichiatra che si trasferisce in
questa comunità senza nome per incontrare e confrontarsi con Clementina e il resto
della famiglia. Sarà allora lui a occuparsi anche dell’organizzazione del battesimo dei
bambini.
E quando Giacomorto racconta di essere contro la religione e il curato vuole
convincerlo che la religione sia un lusso e quando dopo maggio i mesi diventeranno
giuglio, giugnosto, gemprile, febbrugno, aprosto, lugliembre… siamo già nel vivo del
romanzo che racconta di malvagità e crudeltà che piombano nella vita dei protagonisti
coinvolgendo però l’intera umanità.
Un romanzo in cui il tempo si incastra, ma anche la vita di questi bambini sembra
incepparsi per un eccesso di amore da parte di una madre che “avrebbe dato loro tanto amore
che tutta la loro vita, intessuta di cure e di buoni uffici, in mancanza di lei sarebbe stata priva di senso”.
Un titolo ad hoc per un romanzo che riesce a strappare il cuore al lettore mentre
presenta un’intera società.

giovedì 25 novembre 2010

Cosa dicono gli Scrittori di L & B?



Il progetto Livres & Bijoux nasce nell'estate del 2009 proprio con Sara, il bijou dedicato a L'esistenza di Dio, di Raul Montanari. Inevitabile, per Rose, cominciare questa sezione con le sue parole.

Raul Montanari su Livres & Bijoux:

"Questi gioielli sono deliziosamente indiscreti con i libri a cui si ispirano: li corteggiano, li adornano, gli rubano un po' la scena, come quando un uomo che si crede celebre va a una festa al fianco di una fidanzata troppo bella."



In attesa del suo prossimo romanzo, in uscita a Febbraio 2011, Rose vi rimanda al sito di Raul Montanari (www.raulmontanari.it) e a una pagina in cui si parla di Strane cose, domani (2010) il romanzo entrato nei dodici candidati allo Strega, di cui ho scritto per Tribuna (uno stralcio dell'articolo e altro in merito nel link: http://www.raulmontanari.it/StraneCoseDomani.html).

A presto,
Rose

venerdì 19 novembre 2010

POVERA PICCINA, di Patrick Dennis - Adelphi



‎"Chi gli ha dato il permesso di toccare le mie creazioni'", gli ho chiesto gelida. "Tolga subito le mani dai miei gioielli e dalle mie pellicce!" - [Rose vi racconta: lo grida Belle Schlumpfert al direttore dell'albergo] da POVERA PICCINA, di Patrick Dennis - Adelphi

COLLEZIONE BANSKY: BACI IN ROSA PER TUTTI



"BACI IN ROSA PER TUTTI". Collezione BANSKY 2010

lunedì 15 novembre 2010

L'AMORE NON SI DICE, di Massimo Vitali - Fernandel



Tra Livres & Bijoux approda L’AMORE NON SI DICE, di Massimo Vitali (Fernandel). Che l’amore non corrisposto in letteratura e nella vita susciti tristezza e infelicità non è assolutamente frutto della fantasia, né una considerazione inappropriata. L’amore non si dice è un romanzo epistolare e racconta proprio la storia di questo amore. Edoardo è innamorato di Teresa, ma lei gli impedisce di scriverle e spedirle lettere d’amore. Teresa è decisa e categorica: non ne vuol proprio sapere. Edoardo dev’essere più ostinato, forse ossessionato o anche solo innamorato di lei e così decide di rispettare il volere di Teresa e non si lascia più andare a quest’epistolario amoroso. Ammette anche, però, di non voler rinunciare a questa corrispondenza a senso unico e a prova di questo si cimenta in una serie di missive che parleranno di tutt’altro. Le cento lettere di Edoardo a Teresa finiscono con l’essere una lunga presentazione di sé mentre raccontano la bizzarra visione del mondo che ha e i rapporti che il giovane intrattiene nella sua vita. A presentare Edoardo lo potremmo ricordare il ragazzo che lascia la macchina dal gommista e avendo difficoltà a orientarsi con gli autobus si ritrova all’ippodromo. Il giovane che passa spesso a sfogarsi dal barbiere sulle proprie sventure. Il tipo che non riesce a lavarsi mai le mani nei bagni dove il getto dell’acqua è automatico e allora finisce col pensare che dovrà comprarsi le salviettine. Di natura nasce poeta, ma per campare vive con una scrivania e tre cassetti in un ufficio reclami. Di sé dice di essere uno di quei poeti italiani che si possono trovare anche sulla tangenziale e che di se stessi leggerebbero anche la lista della spesa. E per non pensare troppo spesso a Teresa va al supermercato e cataloga i clienti a seconda delle abitudini. Così nasce questo romanzo: cento lettere che parlano d’amore nella sua assenza e che riescono a far sorridere il lettore per l’ironia che le contraddistingue. Ridere con Edoardo è allora assai semplice e immediato. Abbandonarsi all’infelicità di un amore non corrisposto diventa un affare che ciascun lettore può decidere se vivere o meno. Il romanzo apre con una lettera di Alessandro Bergonzoni per Teresa e sembra un invito a lasciarsi andare all’amore e chiude con una missiva di Grazia Versani per Edoardo di cui ne esalta l’ingenuità in amore. L’amore non si dice: un romanzo spassoso e di un’ironia decisamente singolare.
A molti farà pensare a Zoo o lettere non d'amore, di Viktor Sklovskij.

venerdì 12 novembre 2010

La mia lettura di: IL LIBRO DI ROSE, di Ronald Everett Capps - Mattioli 1885




IL LIBRO DI ROSE, di Ronald Everett Capps
Mattioli 1885
Pagine 156
Euro16,00

Il Libro di Rose, di Ronald Everett Capps (Mattioli 1885) è il diario di una bambina e ne racconta la sua storia. Traslocavamo ogni volta che la mamma cambiava uomo. Sono queste le prime parole che Rose imprime in queste pagine. La voce di una bambina, nelle pagine di Rose, sembra un’eco che intenerisce, disegna e delinea la sua vita, cattura i suoi bisogni e il suo modo di essere. Lei ha nove anni, osserva il mondo con il suo sguardo giovane, ma sembra muoversi e assorbire le situazioni che vive con il fare di una ragazza più grande. Ha tre fratelli: Rainy, Carl e Juney, il più piccolo. La madre invece è una donna che si intrattiene sempre con uomini diversi e non tutti sono simpatici a Rose né hanno comportamenti con cui riesce a rapportarsi. Hershy Bar, uno dei compagni della madre, per esempio, cerca spesso di mettersela in braccio, ma Rose è di quelle bambine che non lascerà mai che nessun uomo le metta le mani addosso. Lei trascorre molto tempo in compagnia dei fratelli, si divertono e giocano al fiume e dove possono. Della madre Rose stessa ne parla con incomprensione. Spesso la donna strilla da sola, compie azioni fuori dal comune, pericolose, ma poco dopo quando le passano questi momenti tutto sembra tornare alla normalità e lei stessa sembra dimenticare le sue reazioni. Ma cosa accadrà nella vita di Rose di così importante? Quale persona riuscirà a occupare un posto rilevante nella sua vita? Rose conoscerà Anthony, un uomo che vive in una villa con una piscina. Una persona che amerà da subito gli occhi e la voce intonata della bimba. Un signore con cui la bambina riuscirà a istaurare un rapporto familiare piuttosto speciale. Rose finirà col cercarlo spesso recandosi nella sua villa per voler condividere del tempo con lui e chiacchierarci. Tra i due nasce quasi a pelle un rapporto del tutto speciale e così forte che la bambina soffrirà e sentirà la sua mancanza quando lui se ne andrà dalla villa dopo aver lasciato la moglie. Un giorno accade un fatto spaventoso: un assistente sociale, la signora Taylor, raggiunge la casa di Rose e da lì un cambiamento determinante e i tre fratelli vengono assegnati a tre famiglie differenti. La madre invece viene portata in un ospedale. Nessuno di loro per lungo tempo si vedrà. Rose che finisce nell’abitazione di una coppia benestante fatica ad abituarsi a questa nuova condizione. Così come fatica all’idea dell’assenza dei fratelli, della madre, di Anthony. Eppure il destino di Rose, senza svelarvi nessun altro passaggio, sembra voler preservarle altro e concederle in futuro l’amore, la tranquillità che ha cercato e le lunghe chiacchierate con Anthony. Potente e fondamentale l’ultimo incontro di Rose con la madre nell’ospedale. Un romanzo questo di Ronald Everett Capps che dà voce agli stati d’animo, i dubbi, la crescita e le paure di una bambina che sembra non volersi mai arrendere davanti alle brutture che la vita le pone davanti, ma tenta piuttosto di inseguire il meglio che dalla vita vorrebbe aspettarsi. Un linguaggio e uno stile che aiuta a sentire una voce giovane e i pensieri di una bambina di certo più matura della sua età. Sembra allora inevitabile a fine lettura commuoversi e gioire con la protagonista.

giovedì 21 ottobre 2010

Vorresti vincere un bijou e due libri di L & B? Non perdere questa lotteria

Eccoci qui con le modalità per vincere un bijou e due libri di Livres & Bijoux!

Per una collaborazione di lavoro ho conosciuto Sara Faraoni. Trascorso del tempo mi ha proposto questo gioco-lotteria mettendo in palio sul suo blog http://camaleonte.blogosfere.it/ un bijou e due libri.

Vi rimando al link di facebook per leggere nel dettaglio info sulla collana-bijou e i libri http://www.facebook.com/home.php#!/note.php?note_id=163398787012599&id=100001739536172



Come fare a vincere? Semplicissimo!



Condividete questo link di facebook sul vostro blog o sulla vostra pagina facebook o su Twitter e lasciate un commento sul post di Sara qui: http://camaleonte.blogosfere.it/2010/10/giveaway-due-libri-una-collana-e-un-paio-di-orecchini-di-livres-et-bijoux.html#more in cui inserirete anche il link della vostra segnalazione.

Avete tempo fino al 30 ottobre.

Dopodiché verrà estratto il vincitore! Sarete messi in contatto con me e vi spedirò il premio direttamente a casa! La partecipazione è naturalmente gratuita.



L'estrazione verrà effettuata con random.org.



Partecipate e divulgate! ;-)


A presto,
Rose

mercoledì 20 ottobre 2010

Vorresti vincere un bijou e due libri di LIVRES & BIJOUX?



In attesa che la seconda edizione di Livres & Bijoux – Innamorati per l’occasione approdi con la Collezione Natalizia al Micca Market del Micca Club (Roma 5-12-19 dicembre ore 18,00- 23,00), sono entusiasta di annunciare che sono stata invitata mettere in palio per il Giveaway di un blog una collana-bijou handmade e due libri. Presto dunque sarete invitati a partecipare. Presto vi manderò le indicazioni per partecipare gratuitamente a questa lotteria.
Il progetto Livres & Bijoux nasce nell’estate del 2009 e mira alla promozione dei libri attraverso differenti canali. Nel caso specifico: acquistando una collana-bijou artigianale (25,00 euro) si può scegliere un libro in omaggio tra quelli ricevuti in promozione dalle varie case editrici che hanno aderito al mio progetto.
Per questo Giveaway metto in palio una collana-bijou realizzata con vari elementi ornamentali. Se è vero che l’amore non è un vestito già confezionato, ma stoffa da preparare, tagliare, cucire… anche queste collane per il progetto che le dà vita nascono nello stesso identico modo e con lo stesso amore.
Il das preparato, prima lavorato e trasformato in ornamenti di varie forme viene poi vestito attraverso un lavoro di découpage: per questo bijou da una parte una donna indosserà il volto di una ragazza e di un uomo ritagliati da una rivista degli anni ’50, dall’altra stralci di un’edizione del 1950 di La signora Bovary, di G. Flaubert (Rizzoli). A decorare il filo si uniscono inoltre delle pietre color corniola, la pietra che dà coraggio ed elimina ogni paura.
Colori, sentimenti e immagini infilati in questi bijoux vestono con semplicità ed eleganza un semplice filo e diventano un bijou dai connotati vintage.
Per un regalo tutto al femminile accompagno il premio con due pubblicazioni di diverso genere: un romanzo e una biografia.
Mercedse Sosa. La negra, a cura di Rodolfo Braceli, per Giulio Perrone editore. Liliana Herrero ha scritto: Siamo di fronte a una confessione passionale e un documento straordinario. Siamo di fronte a un libro politico, ma profondamente intimo, allo stesso tempo pubblico e privato, indispensabile per raccontare la storia del nostro paese. Ha 63 anni la Negra quando decide di raccontare la propria vita perché sente che sia il momento giusto e sceglie di non tralasciare nulla del pubblico e del privato. Di sé diceva di possedere la sincerità come il difetto e il pregio più grande. Una biografia, quella edita da Giulio Perrone, in cui perdersi nella storia di Mercedes Sosa significa allora ripercorrere le vicissitudini di cui è stata protagonista e sentire il cuore pulsare per ogni evento che ha vissuto. “Adesso non c’è più e manca – ammette Ornella Vanoni – manca a me ma penso anche a tutta l’Argentina, ha lasciato un vuoto incolmabile, come tutti i grandi che se ne vanno”.
Come una pietra che rotola, di Maria Barbal, Marcos y Marcos. Un romanzo che cerca e accompagna una sensibilità tutta al femminile. Una storia d’amore che nasce tra Conxa, ragazzina timida e tenace che cresce con gli zii in campagna, dove c’è poco pane e tanto lavoro e Jaume, un artigiano energico e gioioso, che la avvicina a un mondo di ideali, passione, impegno politico. Conxa e Jaume si sposano al volo, hanno tre figli. Quando il conflitto civile incendia la Spagna e suo marito parla sempre più spesso di “regimi da abbattere”, “rivoluzione necessaria” Conxa teme che le cose si mettano male; un mattino, la milizia si presenta alla porta di casa: vengono arrestati tutti. Conxa e i ragazzini se la caveranno senza conseguenze. Jaume invece, “la voce che mi aveva detto le cose più belle della mia vita”, sparisce nel nulla. Conxa proteggerà i suoi figli, i campi, la casa e lotta per non diventare una pietra immobile in una pietraia, senza più gioia, senza più volontà. La grande forza del carattere femminile, la perdita di un grande amore, la potenza di una vita indipendente in campagna che rotola malamente in città.


Presto tutte le indicazioni nel dettaglio!

martedì 19 ottobre 2010

COME UNA PIETRA CHE ROTOLA, di MARIA BARBAL



Come una pietra che rotola, di Maria Barbal, Marcos y Marcos. Un romanzo che cerca e accompagna una sensibilità tutta al femminile. Una storia d’amore che nasce tra Conxa, ragazzina timida e tenace che cresce con gli zii in campagna, dove c’è poco pane e tanto lavoro e Jaume, un artigiano energico e gioioso, che la avvicina a un mondo di ideali, passione, impegno politico. Conxa e Jaume si sposano al volo, hanno tre figli. Quando il conflitto civile incendia la Spagna e suo marito parla sempre più spesso di “regimi da abbattere”, “rivoluzione necessaria” Conxa teme che le cose si mettano male; un mattino, la milizia si presenta alla porta di casa: vengono arrestati tutti. Conxa e i ragazzini se la caveranno senza conseguenze. Jaume invece, “la voce che mi aveva detto le cose più belle della mia vita”, sparisce nel nulla. Conxa proteggerà i suoi figli, i campi, la casa e lotta per non diventare una pietra immobile in una pietraia, senza più gioia, senza più volontà. La grande forza del carattere femminile, la perdita di un grande amore, la potenza di una vita indipendente in campagna che rotola malamente in città.

COME UNA PIETA CHE ROTOLA, di MARIA BARBAL
Marcos y Marcos
euro 14,00
pagine 151

intorno a MERCEDES SOSA. LA NEGRA, di Rodolfo Braceli


Mercedse Sosa. La negra, a cura di Rodolfo Braceli, per Giulio Perrone editore. Liliana Herrero ha scritto: Siamo di fronte a una confessione passionale e un documento straordinario. Siamo di fronte a un libro politico, ma profondamente intimo, allo stesso tempo pubblico e privato, indispensabile per raccontare la storia del nostro paese. Ha 63 anni la Negra quando decide di raccontare la propria vita perché sente che sia il momento giusto e sceglie di non tralasciare nulla del pubblico e del privato. Di sé diceva di possedere la sincerità come il difetto e il pregio più grande. Una biografia, quella edita da Giulio Perrone, in cui perdersi nella storia di Mercedes Sosa significa allora ripercorrere le vicissitudini di cui è stata protagonista e sentire il cuore pulsare per ogni evento che ha vissuto. “Adesso non c’è più e manca – ammette Ornella Vanoni – manca a me ma penso anche a tutta l’Argentina, ha lasciato un vuoto incolmabile, come tutti i grandi che se ne vanno”.

MERCEDES SOSA. LA NEGRA Rodolfo Braceli
Giulio Perrone editore
euro 19,50
pagine 425

domenica 5 settembre 2010

Sindrome d'abbandono e amore perduto - maggio 2009


foto: Le donne fatali di Mark Sink
Sindrome d'abbandono e amore perduto - maggio 2009

Batte nel petto vestita di rosso abitata da scheletri che inceppano il suo ingranaggio. Si inganna e si convince svestita su strada, fredda cornice o accogliente rifugio. Siede in terra mascherata di indifferenza. Elemosina radici di sangue che non riconosce. Deperita per abbandono, avida di vita, ricercatrice di illusioni mercantessa di parole e masturbazioni mentali. Lascia scivolare l’amore sul ciglio della strada, educata a rimanervi pronta (mai) a farsi cogliere. Impertinente e sfacciata la sindrome dell’abbandono sopraggiunge ostinata e menzognera. Non l’abbandonerà mai. Fila via delicato l’amore e si fa sesso. Una mano sottile che non sa afferrare e trattenere; gioca il tempo sterile di un orgasmo mancato o affrettato.
L’amore non canta, decanta.
La vita segna, non insegna.
Il cuore combatte, non batte.
La bocca carezza, non attizza.
La pelle copre, non scopre.
L’ha scritto sul petto di lui con la lingua timorosa ma audace: poi guardami se vuoi, faccio l’amore solo con me. dopo, per piacere, va’ via, ma senza far troppo rumore. Io non amo più. Legame o matrimonio combinato con le mie paure.
Randagia come chi ama la vita perché riconosce quello che le manca.
Lucida come chi sceglie solo la sua arte in un legame che durerà per sempre.
E di nuovo batte nel petto vestita di rosso abitata da scheletri che inceppano il suo ingranaggio.
Ricercatrice di illusioni mercantessa di parole e masturbazioni mentali.

venerdì 27 agosto 2010

Racconto: La Locanda degli Abiti Bevitori - Esercizio di scrittura 1.



La Locanda degli Abiti Bevitori

“Sotto gli abiti, per piacere, maneggiatemi con cura”. Il cartello è anonimo. Le lettere vivono sdraiate comodamente sul loro materasso di carta attaccato su un’anta dell’armadio . Hanno qualcosa che le allontana dall’orrido. Ognuna di esse rallegra la vista con un colore e una sfumatura differenti. Ricordano le collane di caramelle: colorate e zuccherose. Sembrano anche scelte appositamente per non voler trasmettere né orrore, né angoscia. Raccontano quello che devono incollate lì su quegli specchi che ricoprono tre grandi ante. La stanza sembra abitata da una sola donna: un solo letto, una scrivania, una sedia. Tutto il necessario è visibile in un pezzo unico. Negli specchi riflettono due mensole di cappelli stravaganti, modelli contemporanei sfiziosi che strizzano l’occhio ad altri d’epoca più eleganti. Una sedia di abiti sportivi concede la parete a una stampella che scende da un chiodo, proprio come fosse un quadro. Tuttavia quella parte di muro chiazzata di un abitino demodé è una macchia rossa a pois bianchi e un giacchetto nero ricamato. Lampade vecchie ad olio occupano il piano di un comò, ma proprio lì accanto la stanza ne ospita una da terra e un ultimo modello a sei luci. Un giradischi d’epoca accompagna ventiquattro pollici al plasma con dvd. Nello specchio intravedo un posacenere, un pacchetto di tabacco giallo e filtri in un sacchetto trasparente. Nuovi. Anche il tabacco è chiuso. Come se non fosse usato da tempo. Per questo, forse, sopra il posacenere c’è una piantina grassa. Collane di perle in fila ma immobili scendono e sembrano fare il paio con altre più eccentriche di caucciù e noccioline bucate. Delle tende se ne intravede una sola color arancio, forse figlia di un finto chiffon. Il sole è pallido e così la luce negli specchi che bussa ai vetri delle finestra, è tiepida. C’è un tappeto rosso che dona calore. E sopra, non buttati a caso ma con l’aspetto ordinato di pagine riposte una sopra l’altra, ci sono tre libri. Irriconoscibili nei titoli, autore ed edizione. Uno dev’essere nettamente più anziano, presenta infatti il colore delle pagine di una vecchia pubblicazione che forse viveva in una bancarella dell’usato… è il più vecchio e sta sopra gli altri che con il doveroso rispetto gli regalano il posto più in vista. E così gli altri due sembrano scomparire con quel bianco pagina appena uscito da una tipografia. Vicino c’è un quaderno aperto, con una copertina rigida e una penna: dev’essere il loro tête à tête. Libri e quaderno, tra loro, sul loro tappeto d’amore e stanno bene. Un paio di scarpe lilla, tacco sette, a cono, sulla mensola vicino al comodino. Un paio di stivali neri di velluto, aperti davanti, tacco dodici, sul letto vicino al comodino. I sabot con gli strass sono in terra ai piedi di quella piazza e mezzo. Uno sdraiato, l’altro col dieci centimetri puntato sul marmo giallo intarsiato di bianco. Mi sembra pallido come il sole di oggi. Questo paio solitario e disordinato dev’essere scappato di fretta dai piedi di una donna. Sembra buttato a caso. Il materasso si è abbigliato come una donna quando rientra a casa e vuole star comoda, senza fronzoli, né imbellettature, maschere di cipria e ombretti vari. Preferisce indossare solo se stessa e un vestitino anonimo. Anche il materasso lì acquista questa caratteristica: è vestito di un lenzuolo bianco e non ha neanche il cuscino, accessorio non sempre indispensabile. Mi piace perché si presenta un letto semplice e comodo. Essenziale. Ma non entra tutto nello specchio. Ne vedo solo una parte. Quella più esterna chiaramente. La stanza racchiusa nello specchio ha una bellezza che non sa manifestare nello spazio reale. Sembra più compatta e un’immagine da copertina di prestigiose riviste di arredamento che esaltano i contrasti. E sarà anche perché nello specchio in una posizione che corrisponde quasi al centro della stanza il messaggio vive sospeso: “Sotto gli abiti, per piacere, maneggiatemi con cura”. Sorrido a quei colori frizzanti e penso subito che sotto gli abiti che scendono in fila indiana nell’attesa trepidante di uscire allo scoperto nella loro bellezza e per farsi un giro tra le strade, ma senza chiedere numeretto né saltare la fila. Solo secondo il gusto di chi li indossa. Penso che non ci siano solo corpi sotto gli abiti, ma esistono anche gli scheletri. Ricado in un dubbio: non so se le parole del messaggio sono quelle di un corpo che sta chiedendo di non fargli del male, di maneggiarlo, sì, certamente, le parole sono chiare non lasciano fraintendimenti, maneggiarlo va bene, ma con cura. Tutto qui. O se credere a un messaggio in codice che non riesco ancora a decifrare. Io però non posso muovermi. Mi hanno piazzata vicino alla scrivania senza neanche pensare che forse avrei preferito essere in cucina, a mischiarmi tra i profumi, la mia passione o fuori da qualche altra parte, anche in un bar del parco, al fresco. Vorrei andarci, ma sono bloccata. E ho caldo. In questo posto della casa sono sola, questo non mi spiace, ma non posso fare nulla se non contemplare le mie forme. Devo essere abbigliata di quella bellezza che soddisfa più gli altri che me stessa. Non sono più padrona di me ormai, sono quella che sono e gli altri non possono che abusare di me, per forza, appena vorranno. Mi prenderanno e mi useranno a loro gusto. Mi consumeranno. Ci sono femmine che nascono per questo. Per essere usate e consumate finché durano. Ora non posso neanche arrivare a prendere uno di quei libri o leggere quel quaderno aperto sul tappeto rosso. Mi sento come quelle “cose” che fanno bene e servono più agli altri che a se stessi. Ma a vedermi nello specchio, in questo profilo che risalta solo il mio abito dorato e il mio lungo collo invitante e seducente, mi trovo slanciata nella media, vestita di un colore che ricorda il dorato e la luce affascinante della luna piena. Non riesco a vedere tutta la stanza da qui ma aspetto che decidano di spostarmi. Aspetto. Aspetto. Aspetto. Aspettare non mi dà fastidio, so darmi alla pazienza. Ma certo, dipende anche dalla fine che mi spetterà. Non so dove mi sposteranno. Non ancora. Aspetto. Aspetto. Aspetto. Il sole pallido è rincasato. La luce della sera, per mano di un pittore che esercita ancora la sua arte aldilà delle nuvole, abbandona la luce a striature alla Monet tra sfumature lavanda, venature vaniglia rimasugli di quel giallo pallido. E così anche nella stanza la luce è diversa. Cerca buio e riposo. D’improvviso una mano mi afferra per il collo, apre un’anta a specchio, resta un po’ a contemplare abiti e stampelle, con leggerezza ma attenzione. Questa mancina dev’essere abituata a questo fare, non trema né si agita. Ecco la mia fine: la mano mi accomoda dentro la tasca piuttosto capiente di un paltò arancio, bianco e verde… Io sono solo una bottiglia di Martini bianco. Sono “solo” una bottiglia, sono femmina, mi consumeranno, ma non sono affatto “sola”. Quest’armadio è La Locanda degli Abiti Bevitori. Non capisco se ad ogni abito corrisponde una bottiglia, per incomprensibili congetture della mente di questa mancina. Riconosco che di tanti posti dove sono stata questa Locanda è il più bizzarro. Sono abituata a vivere al freddo, a vedere uomini non vestiti, a osservare donne sbronze senza vergogna e altre più composte. E mi piace il limone che mi accompagna in una relazione etero che dura il tempo di sciuparmi in un’unica goccia sul fondo. O l’oliva che mi assapora e mi seduce in una relazione omosessuale che termina ogni volta col nocciolo che vien gettato con grazia sul palmo chiuso e che poi andrà a morire in un piattino; o con atteggiamento mascolino dalla bocca direttamente nel medesimo posto. Sono abituata a vivere tra le persone non tra i vestiti. E qui ce ne sono un’infinità. E di tutti i tipi. C’è persino un’eccentrica giacca nera di struzzo che si vanta nell’essere posta accanto a una semplice e classica di velluto marrone. Sotto questo velluto marrone c’è un Amaro del Capo. Sapori calabresi da non dimenticare. E accanto, incastrato tra tre borse che sono un secchiello bianco con intarsi di margherite, una di Tolfa e un vecchio bauletto per i trucchi proveniente da Borghetto Flaminio, ci sono tre Falanghine rigorosamente in piedi e coperte da una sciarpa elegante bianca, di ornamenti e pajettes della stessa tinta . Quando la donna lo apre toglie il ripiano per gli ombretti, fa spazio e sistema qualche Sanbitter, poi richiude tutto. Certo, qui è buio. Non si vede luce, né io vedo bicchieri per farmi consumare. Avrei bisogno di freddo e ghiaccio. Sembro piuttosto inopportuna. Ma vedo le altre bottiglie così a loro agio, come fossero sistemate rispettando gli abbinamenti coi colori degli abiti. E anche gli abiti… in quest’accoppiata restano sulle sue sì, ma non si arrabbiano di pieghe che non ci sono, né di lacrime che sarebbero gocce di alcool a sporcarle. Alla Locanda degli Abiti Bevitori tra bottiglie e vestiti c’è rispetto e diplomazia. Ognuno si fa i fatti suoi. Ah! La mafia della Locanda. Nessuno deve sapere che io e le altre siamo lì. Quando la donna ci vuole passa, apre l’anta, entra nella Locanda e ci viene a prendere. E ci fa consumare dai suoi ospiti. Ora è più buio però. I colori di Monet non sono che un vago ricordo, ma respiro la solitudine di un Hopper. La mancina ci ha chiuso dentro. Gli abiti non hanno nulla da dire. Solo un Corpetto si indispettisce, Andatevene via!, ci grida. Non è il posto per voi questo. Il Corpetto dev’essere abituato a incontrarci solo nei locali di notte. La vita dell’armadio sembra andargli stretta. Dev’essere per questo che se la prende con noi. Sembrerebbe il solito abito, noioso e spaventato di finire la sua esistenza in un armadio. Appeso alla stampella sì, proprio come si appendono le scarpe ai chiodi. L’Amaro del Capo, ubriaco di sé e della sua forza si fa avanti, non come me, che resto zitta, a guardare, a osservare la Locanda, Pensi che sia facile per noi stare qui dentro, Corpetto?, si pronuncia l’Amaro ubriaco di sé, è tanto difficile per te quanto per noi essere qui dentro. A nessuno piace stare nel posto che non gli appartiene. Ma tutti gli abiti hanno comprensione per noi, coltivala anche tu. Farebbe onore alla tua bellezza e alle tue pajettes accoglierci qui dentro. Ascolta me che sono assai più vecchio di te. Accoglici e fa’ attenzione, piuttosto, qui dentro, sotto di voi è bene che ci maneggino con cura. Alla Locanda degli Abiti Bevitori non esistono giornate ordinarie. La donna che comanda non ci porta mai in cucina. Se usciamo di lì e solo perché lei ha degli ospiti. Ci usa, ci consuma, riempie i calici. Con le amiche ridono, schiamazzano, si confessano segreti e intimità, leggerezza e sfortune. Loro diventano le donne che non si vergognano se son sbronze, piuttosto lasciano parlare occhi e risate con la compostezza che non le abbandona. La donna non può chiudere ancora La Locanda degli Abiti Bevitori. Ma non appena potrà abbandonerà baracche e burattini per la banale e magica semplicità dell’ordinario . Nel quaderno che riposa sul tappeto lei racconta che l’uomo preferisce vederlo rincasare ubriaco piuttosto che fomentare la sua dipendenza. Per questo è nata La Locanda degli Abiti Bevitori: c’è una differenza notevole tra la vita che ci spetta nell’immaginario comune e quella che attraversa uomini e case nel quotidiano. Lo specchio non mente: è tutto vero quello che riesce a intrappolare lì dentro. E l’armadio è il suo fidato compare: custodisce tutto quello che non si può vedere. La Locanda degli Abiti Bevitori è un’alternativa di vita, una strategia per evitare il peso della sopravvivenza e il rischio del dolore fisico e morale. La Locanda degli Abiti Bevitori nasconde odio per tentare di preservare amore. Non chiude per ferie, non conosce il giorno di riposo né la pausa del weekend. Segue il ritmo della dipendenza di quell’uomo. E la dipendenza, priva di clemenza, non conosce pause. Mai.

giovedì 19 agosto 2010

Racconto: La ballata dell'amore cieco (ispirato alla canzone di F. De Andrè)


La ballata dell’amore cieco
(ispirato a La ballata dell’amore cieco- F.De Andrè)
Isabella Borghese
Giugno 2006


Corinne è ancora dentro quel furgoncino bianco.
Graffiante, graffiata, sprezzante e sprezzata.
Eppure sceglie di vivere.
Come unica alternativa alla sua morte lascia che il suo istinto di sopravvivenza decida per la fine di un’altra vita.
E tra i rivoli di sangue che rendono rosso il lino bianco e le sue gambe Corinne, fulminea, a fatica e sfinita impugna quel bullock che si trova alla sua sinistra, mezzo coperto da uno straccio di daino vecchio, unto e strappato.
Lo impugna stremata, ma lo riesce a trattenere nonostante la poca forza che possiede.
Forse, ora, solo quella generata dalla rabbia e dal terrore.
Corinne stende il braccio per recuperare energia e subito dopo batte tre colpi secchi su quel cranio che ha di fronte fuori di sé, imbestialito e infuocato.
E quei tre colpi secchi bastano a massacrare la testa di Sandro e sono sufficienti a spargere altro sangue in quell’abitacolo che ormai puzza di violenza, feroce e disumana.
Questa volta non è il suo di sangue e a fatica ora Corinne toglie quel corpo dal suo, indossa una divisa di lavoro che Sandro teneva sempre nella parte anteriore del furgoncino, si pulisce la faccia coperta di sangue e si trascina fuori.
A stento e barcollante ma Corinne è finalmente fuori da quel furgone.

Senza tempo.

Corinne raggiunge la città dei Sassi.

Senza tempo.

Arrivava a Matera ubriaca di odio, disgusto, paura.
Riesce a dimenticare il suo amico Gary, ancora in Olanda e si convince di dover scordare per sempre anche la sua amata Praga e la sua seconda patria, Roma.
Nessuno deve sapere più di lei.
Nessuno deve avere a che fare con lei.
Nessuno deve sapere che lei si trova lì.
Pena, la morte.
Questi divengono così gli unici crucci mentali di Corinne.

E sola adesso vaga nella città.
Ogni giorno osserva la profondità di quel burrone, passeggia a piedi nudi per conoscere quelle pietre inermi su cui si muove.
E Corinne che non si lascia impressionare dalla loro freddezza rimane incantata dall’imponenza e dalla loro storia secolare.

Ha trovato subito alloggio in una piccola grotta.
Quello è il suo rifugio.
Unico e solo.
Un nascondiglio perfetto, Qui nessuno mi troverà, si convince.

Trascorre il tempo e le sue giornate scorrono nella solita routine.
Ogni mattina si spinge fuori dalla città dei Sassi e si ferma all’abituale Coloreria.
I soliti? Le chiede puntuale, rituale e coinciso il negoziante.
Si, grazie .
Così Corinne risponde ogni volta, parca di parole e con lo sguardo sempre rivolto altrove.
Si procura le tele e i colori per la giornata, poi acquista un rosso molto corposo alla bottega di fronte e solo dopo torna tra i suoi Sassi.


Quel giorno invece il negoziante le porge la mano destra pronunciando un, piacere! Alfred. Posso sapere il suo nome? E’ una pittrice? E’ qui per lavoro?
E in quell’istante lei – di tutta risposta- impetuosa e schiva raccoglie tutti i suoi acquisti per fuggire con un rapido, piacere, piacere Virginie.

Virginie…E così Corinne repentina decide di cambiare identità.
Stabilisce di non essere più Corinne.
Per nessuno.

E Alfred tra le pareti della sua coloreria rimane con lo sguardo fisso a osservare la bellezza di quella cliente.
Quell’esile corpo che ora si ferma nella bottega di fronte e che unico nella sua andatura mostra forme sinuose e ben proporzionate.
E’ bastato così poco ad Alfred per ritrovarsi innamorato di quegli occhi smarriti e sfuggenti.
A prima vista.
Lui, d’improvviso come un fulmine a ciel sereno, rimane estasiato e
disarmato di fronte a quello sguardo schivo, fugace e incomprensibile.
Un’espressione che sa suscitargli incomprensione, ma anche curiosità.
Quella donna, pensa Alfred, nasconde qualcosa o ha semplicemente un fascino indiscutibile.
Poi, proprio lui spinto da quest’interesse decide di abbassare la saracinesca del suo negozio.
Vi appende una targa con su scritto Torno subito e s’incammina a distanza per seguire Virginie e scoprire dove alloggia.

Lei procede con tutte le sue cose.
A passo lesto.
A testa bassa.
In silenzio.
Si affretta per raggiungere la sua grotta e dedicarsi ad un’altra tela.
E pensa di dover trovare un’altra coloreria.
Quell’Alfred meglio evitarlo - riflette Corinne tra sé e spietata - in caso contrario potrei ucciderlo.

E quell’Alfred invece procede pochi metri dietro di lei e solo con in tasca le chiavi del negozio.
A passo lento.
A testa alta.
Fischiettando.
Immagina e senza dubitare che Virginie non si possa voltare indietro. Così lui prosegue rilassato e indisturbato.
E svagato e stimolato pensa di volerle regalare dei fiori, forse dei gigli, forse.

Corinne dopo venti minuti di cammino si ferma di fronte a una grotta. Poggia per terra le sue due buste e cerca nella borsa un mazzo di chiavi.
E’ appena arrivata a casa.

Alfred ha felicemente raggiunto il suo obiettivo.
Corinne entra nella grotta.
Chiude l’uscio, si affaccia alla finestra e si guarda intorno. Sembrerebbe che Alfred sia andato via – mormora- devo trovare il modo di liberarmi di lui.

Poi prosegue, senza tempo.

Prosegue ancora.

Prende una tela e due colori.
Corinne dipinge sempre e solo con due colori.
Sceglie quelli che le sembrano in sintonia con la sua giornata.
Opta per il nero e il rosso, due primari. Due tinte forti.
Perchè quell’incontro le ha rovinato il decorso delle ventiquattro ore.

Rinuncia persino a pitturare sul viale.
E sceglie di aprire il cavalletto in quei trenta metri quadri e svita quei due tubicini ad olio da spremere sulla tavolozza.
Le manca il pennello di dieci millimetri, ma Corinne non si preoccupa di questo, userà quello poco più grande e quello leggermente più piccolo.
Del resto, pensa, oggi dipingo di rosso la luce che entrava nella coloreria e di nero la voce di Alfred quando si rivolgeva a me, ammette Corinne e va bene anche il pennello di un centimetro e mezzo si, si va bene senza dubbio.
Nel frattempo lei tra i suoi fluidi e vibranti pensieri è intenta a sistemare tutto il necessario.

E nei suoi discorsi mentali sembra come impazzita.
Ormai vive dentro di sé, per sé, attenta e accorta ad allontanare chiunque gli si avvicini.

Alfred nel pomeriggio si ferma per quel giglio dal suo amico Paolo, nonché il fioraio.
“Paolo, mi porteresti un giglio bianco alla grotta vicino la fontanella? Quella che si affaccia sul torrente, vicino alla bottega di Zio Michele”.
“Certo, ma per chi è? Ti serve un biglietto?”
Alfred è in silenzio come chi sta pensando a una scelta da fare, poi si fa dare una penna e butta giù due righe: ”Nessuna tinta vale il colore dei tuoi occhi Virginie. Ti invito per un tea domani pomeriggio, Alfred”.
Poi lo legge. Lo rilegge e lo ricontrolla un’ultima volta.
Non sembra del tutto convinto, ma alla fine lo ripone dentro la bustina e lo consegna a Paolo.
“Se vai adesso –lo incita Alfred - la trovi di certo.
“Ma chi? Alfred, chi? Chi è che dovrei trovare subito?”
“Virginie!”
“Virgie…Chi? Vuoi dirmi la francesina?”
E Paolo comincia a ridere di gusto.
“Che c’è che ti fa divertire tanto?”.
“C’è che quella donna è pazza, ma non la vedi?- prosegue Paolo- Non parla con nessuno da quando è arrivata, cammina sempre a testa bassa. Non è mai venuta una sera in piazzetta tra noi ragazzi. Non fa altro che dipingere e se qualcuno le rivolge la parola sembra quasi scappare…Ma che dico sembra, fugge proprio lei! Ti sembra normale? Lascia stare, quella è tanto bella quanto folle. Te lo dico io che sono amico tuo, ricordatelo”.
Così Paolo conclude il discorso, dà una pacca sulla spalla ad Alfred e riprende, ti ho convinto? Hai cambiato idea, vero?”
PORTA- SUBITO- QUEI FIORI - A VIRGINIE.
Queste sono invece le ultime parole di Alfred.
Poi lui torna ad aprire il negozio.
E Paolo fa la sua composizione mentre borbotta qualcosa del tipo fosse più matto lui di lei, mah…
Poi sale in bici e si dirige verso i Sassi.

Corinne è lì.
Assorta nel suo mondo come fosse totalmente ovattata e lontana da tutto e immersa nella sua tela si gusta un calice di Carmenero per farsi compagnia.
Poi se ne beve un altro, un altro, un altro ancora… Ce ne sono di bottiglie da svuotare nella sua grotta.
E lei è lì, persa tra quei gradi alcolici a dar inizio al suo delirio.
Strepita i suoi silenzi sobri.
Singhiozza le sue lacrime trattenute.
Graffia il suo corpo sinuoso.
Strappa quella tela.
Insulta quella testa massacrata come fosse ancora viva e adesso impreca persino contro quel povero Alfred che si è solo innamorato di lei.

E Alfred è un brava persona.
Un uomo onesto, un uomo probo , forse anche troppo.
Lavora nella Coloreria del padre da quando ha finito gli studi.
Non è un ragazzo ambizioso, ma vive bene così.
Nella tranquillità del suo lavoro.
In qualche sera libera ad aiutare l’amico Geppo nella gestione di una trattoria.
In qualche altra da trascorrere con quei pochi amici fidati che si porta dietro da quindici anni.
Loro sono gli amici di scuola.
E quelli dei primi baci, dei primi beveraggi, dei primi sballi da strada, delle prime storie serie e delle prime scopate.
Gli stessi che poi crescendo hanno preso strade diverse: chi si è sposato.
Chi ha già divorziato.
Chi ha un figlio senza avere più un compagno.
Chi si è trasferito all’estero.
Chi studia ancora.
Chi è felicemente innamorato.
Chi invece lavora come Alfredo.
E quello che a lui piace della sua vita è anche questo: ritrovare sempre i suoi amici nonostante ormai percorressero strade diverse.
Parallele, ma differenti.
E nella sua strada Alfred è stato lasciato dopo undici anni da Laura con uno sbrigativo ma deciso sei troppo buono, troppo onesto, sempre attento, sempre accondiscendente.
Non ti amo più, forse ora preferisco gli uomini stronzi.
Mi dispiace, davvero credimi. Cosa pensi? Che non mi dispiaccia dirti che non ti amo più? Che non ti desidero più? Che non ti penso quando non ti vedo?
E lui aveva ascoltato ogni parola ricevendola come una pugnalata al cuore, ogni singola parola per lui aveva un suono acre e persistente .
In quei momenti assorbiva, passivo, sofferente e muto.
O forse solo accondiscendente anche in quell’occasione.
E’ finita, pensava, mi sembra ovvio, si convinceva.
E poi s’era seduto.
Mentre Laura con nonchalanche aveva ripreso la sua borsa, tirava un respiro di sollievo e si congedava con uno striminzito Più di questo non so che dirti, meglio che vada. Ciao, perdonami.
Questo succedeva cinque anni prima e quella l’ultima volta che Alfred aveva visto e parlato con Laura.

Durante il tempo trascorso Alfred non ha perso stima per le donne eppure tralasciando qualche storiella da chiacchiera da bar, lui rimane l’uomo che se perde la testa la perde a lungo.
E purtroppo o per fortuna è anche l’uomo che si può innamorare solo per uno sguardo.
E questo Corinne lo ignora.
Lei non sa che Alfred ha un’unica colpa: si innamorò perdutamente di una che non l’amava niente.

Paolo arriva davanti a quella grotta e sente strane urla provenire da lì dentro.
Sceglie la fuga.
Bussa due colpi irruenti con la maniglia di acciaio.
Lascia quel giglio col biglietto attaccato in terra.
Monta sulla bici e scappa senza neanche ripensarci.
Gliel’ho detto io ad Alfred che questa è matta.

Corinne copre i graffi sul suo corpo poi tesa e con fare circospetto
si avvicinava alla porta.
Chi è?
Chi è?
CHI E’?
L’ultimo chi è pronunciato secco e sonoro.
Poi si sposta vicino la finestrella, si accorge che non c’è davvero nessuno e così decide di riaprire la porta.
Per Corinne quel giglio è una pessima sorpresa.
Pessima.
Lo raccoglie con veemenza, come una furia, legge il biglietto ad alta voce e lo stropiccia ridendo.
“Ah Virginie, Virginie, Alfred ti invita per un caffè – blatera ghignando - Sì certo che verrò, ma per un tea e fa che sia bruciante come alla fine brucerai tu. Lo dicevo che dovevi starmi alla larga”

Corinne in effetti è fuggita da quel furgone ritrovandosi crudele e irrazionale, lucida solo a tratti.
Troppe volte appare sadica, assetata di sangue maschile.
Forse è la sua vendetta, la sua paura.
E si graffia. Si graffia come fosse accaduto tutto per colpa sua.
E odia gli uomini come se fossero tutti come Sandro.
E dagli uomini vorrebbe essere solo lasciata in pace.
Nel suo dolore e nei suoi silenzi forse sta impazzendo davvero.

Paolo arriva di fronte al negozio di Alfred, fa suonare il campanello, gli fa un segnale del tipo missione compiuta e torna ai suoi fiori.

Alfred tra i suoi colori e i suoi pennelli ha già l’atteggiamento di chi aspetta una risposta da un momento all’altro.

Corinne invece diabolica continua a dipingere e a meditare un piano, senza pensare ad alcuna risposta.

Arriva sabato.

Alfred si sveglia trepidante.
Corinne si alza indispettita.
Trascorre la sua mattinata seduta sul muretto di fronte alla sua grotta per guardare quel torrente che scorre inesorabile sotto i suoi occhi e per dar da mangiare a quei cani.
Gli unici da cui si lascia avvicinare a Matera.

Alfred apre il negozio.
Lui è ancora in attesa.
Eppure sembra certo che qualcosa potrebbe succedere.
Me lo sento, dice tra sè, Virginie verrà per quel tea, non ho dubbi.


Come pronosticato da Alfred alle cinque di pomeriggio Juliette si presenta al negozio.
“Ciao Alfred, allora andiamo a questo rendez-vous?”
“Certo, Virginie. Solo un attimo, devo chiudere il negozio”
Poi riprende quel Torno subito del giorno precedente e non si preoccupa affatto di dover abbassare la saracinesca durante l’orario lavorativo.
Lui è accondiscendente fin troppo, anche in quest’occasione.
Forse Laura aveva parlato a ragione nel lasciarlo.

Corinne e Alfred si avviano verso la sala da tea.
Alfred le apre la porta, le fa largo con il braccio, poi si dirige verso un tavolino un po’ in disparte.
Prego, Virginie.
E le sposta la sedia per farla sedere.
“Cosa prendi Virginie?”
“Un tea ai frutti di bosco”
“Un tea ai frutti di bosco! Mai assaggiato, lo prenderò anche io, mi fido di te.
Corinne lo guarda quasi impassibile, indifferente.
Questa ragazza è timida, riflette Alfred, devo prendere in mano la situazione.
Con il savoir faire modello ragazzo imbranato che vuole mostrare una sicurezza che non gli appartiene Alfred parte in quarta con le sue disquisizioni…Eh si, l’amore…. Sei fidanzata? Perchè io….(e giù a raccontargli la storia di Laura)…E poi il lavoro (e giù con il lavoro )…Ma il bello è che il tempo libero…(e le racconta del suo tempo libero)…Perché mio padre m’ha insegnato…( è il turno degli insegnamenti paterni)…E da allora mia madre…(qui parte con un elogio della madre decisamente senza misure).
Alfred in effetti è il classico uomo che senza problemi sa dire mia madre prima di tutto e tutti, glielo devo.
E nell’ascoltare quelle divagazioni la testa di Corinne si è già persa. E’ altrove e sembra che si sia messa già in movimento.
Tua madre prima di tutto? Adesso vedremo. Queste le uniche parole pensate dalla diabolica Corinne durante quel tea ai frutti di bosco.
Poi senza guardare Alfred negli occhi Perché quei fiori?, gli chiede, Perché mi hai seguita? Ti ho visto, cosa credi?
“Sai, quando ti ho conosciuta, beh è inutile che te lo nasconda…Credo sia amore a prima vista…Da quattro anni non mi succedeva QUATTRO…E certi treni, beh, com’è che si dice…Certi treni non ripassano, no?” E aggiunge una risata pensando che lei lo stia per seguire.
Inutile dire che Corinne è sempre glaciale.
Certi treni deragliano caso mai, mio caro Alfred, pensa Corinne, Sei salito su quello sbagliato. E soprattutto ci sei salito da solo.
Poi d’improvviso lui esce, torna al negozio dell’amico e rientra in quel bar con un mazzo di rose rosse e una bianca in mezzo.
“Mi sono innamorato di te, ne sono certo…Tu sei per me come quella rosa bianca, unica tra tante rose rosse…Farei qualsiasi cosa per te, davvero…Puoi mettermi alla prova se non ci credi Virginie, puoi mettermi alla prova…”.
Corinne lo sta osservando con attenzione, pensa di aver trovato pane per i suoi denti.
Così si alza di scatto “Vedremo, vedremo se è davvero così. Se vuoi stasera ti aspetto di fronte casa mia, al muretto vicino la fontanella. Ho del Carmenero da offrirti”
“Grazie Virginie, ci sarò!”
Poi Corinne si alza, ci vediamo più tardi pronuncia e se ne va.

Si allontana da quel bar tramando per quel dopocena con un’irragionevolezza che nella sua testa prende piede sempre più.

Arriva la sera.

Alfred si presenta da lei puntuale, ben vestito e con l’idea che quella serata avrebbe portato solo cose belle.
“Ciao Virginie, posso entrare?”
“Ora arrivo Alfred, un attimo”.
Corinne gli risponde da dietro la porta senza neanche aprirla.
Pochi minuti dopo si presenta da lei.
Con quel Carmenero nella mano destra e due calici nella sinistra.
Poi accosta l’uscio e si siede sul solito muretto.
“Ma non entriamo Virginie?”
“Non si può”
Corinne è abile a mentire. Conosce l’arte della menzogna.
E versa quel rosso nei due calici.
“Alla nostra conoscenza, Virginie!”
“Al tuo: farò qualsiasi cosa per te!” ribatte lei.
Alfred rimane interdetto.
Il fare di Virginie gli appare piuttosto discutibile, ma ancora affascinante.
Il fascino vince ancora su tutto.
E lui si mostra quasi vanitoso di questo amore.
Questa donna ha bisogno di sicurezza – riflette- Farò il possibile e l’impossibile per te Virginie - la rassicura.
Lei ride, arcigna e inquietante.
Ride e aspetta solo il momento giusto per esprimersi.

E’ trascorsa un’ora e quella bottiglia di Carmenero è svuotata di fronte ai loro occhi.
Alfred annebbiato e brillo.
Quel beveraggio comincia a farsi sentire.
Corinne se ne accorge e pensa che sia davvero arrivato il momento di parlare.
Senza mezze misure, poi lui avrebbe detto la sua.
“Virginie, sono tuoi questi cani?
“No. Immagino che vivono qui da sempre. Li ho trovati qui al mio arrivo. Sono sempre affamati, mi prendo solo cura di loro. E tu, se dici di essere così innamorato di me potresti aiutarmi”
“Certo Virginie, in che modo? Dimmi e sarà fatto”
Portami domani il cuore di tua madre per i miei cani. Corinne si esprime con molta freddezza.
E Alfred sgrana gli occhi rossi e socchiusi per quel vino che avevano tracannato.
Ma non sembra troppo sconvolto per la richiesta.
“Il cuor di mia madre? Virginie! Vuoi il cuore di mia madre per i tuoi cani?”
“No, voglio il cuore di tua madre come prova della tua passione, del tuo amore per me”
“Oh! Virginie avrai tutto da me. Tutto.”
“Bene allora puoi andare”
Così Corinne decide di licenziarlo senza altre parole.
“Tornerò domani, Virginie. Tornerò domani con quel cuore”

Alfred se ne va per nulla scosso, ma con la vanità e l’ardore di chi sta per dimostrare qualcosa di veramente grande.
Corinne, dal canto suo, lo osserva mentre si allontana e ride.
Sadica e assetata di sangue come sa essere lei.
Poi entra in casa e si mette a dormire nell’attesa del giorno seguente.

Alfred raggiunge la casa.
E sdraiato sul suo letto, pensa al modo più indolore per prendere quel cuore.
Ma senza titubare, neanche per un attimo.
Lo deve prendere.

La mattina seguente si sveglia alle sei.
Con il rumore dei piatti che la madre Altavilla sta lavando.
Alfred si alza, raggiunge il bagno, cerca quelle gocce di Remeron30 tra gli scaffali di quel mobile di fronte alla doccia.
Lo trova e pensa che di lì a poco avrebbe strappato quel cuore.
Inaspettatamente glaciale e spietato pure lui.
Va in cucina, senza neanche salutare; la madre ha lasciato il suo bicchiere di latte caldo sul tavolo nell’attesa che si raffreddi un po’. Come fa ogni mattina.
Alfred ci mette dentro la boccetta di Remeron30, aspetta che la madre ingurgiti quel bicchiere e che di lì a poco caschi a terra moribonda e priva di sensi.
E aspetta un po’, il tempo che sia abbastanza stordita e priva di sensi.
Poi corre al negozio per mettere un cartello.
Chiuso per ferie c’è scritto e senza alcuna data che dia delucidazioni sulla riapertura.
Rientra in casa , guarda il corpo della madre in terra e come richiesto da Corinne, Alfred dalla madre andò e l’uccise, dal petto il cuore le strappò.
Ecco la mia prova d’amore per Virginie.
Questo il suo unico pensiero.
Come se non si rendesse conto della sua azione.
Come se Paolo nel pensare fosse più matto Alfred di quella francesina, ci avesse colto in pieno. Chissà…

Alfred conserva quel cuore in un domopak di plastica e aspetta il pomeriggio.

E alle sedici dal suo amore ritornò.
Ripone quel cuore in un sacchetto nero che non faccia trasparire il contenuto.
Poi ossessionato, impazzito e incosciente si dirige dalla sua Virginie.
Dopo questa prova d’amore, si convince, sarà mia.

Arriva da Corinne.
Ecco il cuore per i tuoi cani Virginie.

Alfred ignora la cosa più importante Non era il cuore, non era il cuore, non le bastava quell’orrore, voleva un’altra prova del suo cieco amore.

Così Corinne poggiando quel cuore sul muretto, guarda cinica e inumana quell’uomo e aggiunge solo poche parole:
Gli disse amor se mi vuoi bene, gli disse amor se mi vuoi bene tagliati dei polsi le quattro vene.

Alfred si allontana.
Senza dire una parola fugge e rientra in casa.
Cerca una lametta.
Se questo è l’unico modo per conquistare quella donna Alfred non si sarebbe fermato.
In men che non si dica segue le indicazioni della sua Virginie: le vene ai polsi lui si tagliò
e come il sangue ne sgorgò
correndo come un matto da lei tornò.

Sanguinante, morente, fuori di testa, succube di una vanità irrazionale e letale corre da quella donna.

Fuori soffiava dolce il vento
ma lei fu presa da sgomento
quando lo vide morir contento.
Morir contento e innamorato
quando a lei nulla era restato
non il suo amore non il suo bene
ma solo il sangue secco delle sue vene.

Alfred muore contento.
Corinne rimane in vita.
Lei da sola.

Senza tempo.

E vince così la vanità di uno spirito cieco, irrazionale e innamorato e la vanità di un animo cinico spudorato e sofferente.

Così finisce questa storia senza tempo.
Con le ultime note di una ballata.

giovedì 29 luglio 2010

Rose vi racconta FRAGOLA & CIOCCOLATO, di Aurélia Aurita - Coniglio editore



Fragola & Cioccolato. Con un titolo così è facile ironizzare e supporre una storia fresca, estiva… oggi potremmo azzardare un gelato da gustare nella stagione che ci accompagna. Tuttavia Fragola & Cioccolato mantiene sì freschezza, ma quella che appartiene alla mano di Aurélia Aurita. In copertina tra disegni di fragole e tavolette di cioccolato la bocca di una ragazza sembra mordicchiare il mento del suo amante (Questo mento, ne ho bisogno!, scrive la fumettista all’interno della storia) mentre le braccia di lei agguantano il volto di lui, a voler completare degnamente quest’immagine. Dalla cover poi ci immergiamo in un romanzo erotico. Il vero condimento da scoprire sarà il desiderio, la mancanza di pudore, la curiosità, la disinibizione che stimola e fortifica la passione amorosa tra i protagonisti: Frédéric e Chenda.
Frédéric, giapponese. Chenda, francese.
La spontaneità e il desiderio di lei di scoprire il sesso e lasciarsi andare senza alcuna ritrosìa insieme ai frizzanti e simpatici disegni rendono la lettura piccante ma non volgare, simpatica ma non buffa e sembrerebbe, inoltre, poter ricoprire spontaneamente il ruolo di un “manuale sui primi approcci amorosi”. E se fosse così nel sesso che "intende insegnare" è bandita la volgarità ma almeno quanto l’ipocrisia.
Si sorride molto sui quesiti, le riflessioni e le storie che animano la relazione tra Frédéric e Chenda.

Il fumetto di Aurélia Aurita è un gioiello. Diverte e commuove, restando eccitante.
«Libération»

Il libro di Aurélia Aurita è un evento.
«Le Monde»

Ciò che è straordinario in questa opera […] è vedere l’artista nel pieno della sua forma, la sfacciataggine della sua felicità, ridicolizzare tutti i bruti, gli imbastitori di processi, re e regine, decani del pudore, zie bigotte, tutti gli ignoranti, i senza cuore, che alla fine non sanno niente, ma proprio niente dell’arte, del suo significato, delle sue regole, della sua universale generosità.
«Le Monde 2»


Curiosità:
Aurélia Aurita a Tokyo realizza le sorprendenti pagine di Fraise et Chocolat che, pubblicato in Francia nel 2006 e subito tradotto in spagnolo e portoghese, ottiene un’accoglienza eccezionale. Nel 2007 esce Fraise et Chocolat 2 e nel 2008 Je ne verrai pas Okinawa, che narra i guai dell’autrice con il dipartimento immigrazione giapponese. Costretta ad anticipare la sua partenza, Aurélia torna definitivamente in Francia e si trasferisce nella regione dei Vosgi, al fianco del suo compagno Frédéric Boilet.


pagine: 144 formato: 15x21
ISBN: 978-88-6063-188-6
data di pubblicazione: 22/06/2009
prezzo: €14,00

A presto,
con la presentazione di un'amica di Rose, leader d'opinione della collana Ice

domenica 25 luglio 2010

sul Catalogo libri per Livres & Bijoux - Innamorati per l'occasione







Le case editrici che quest’anno parteciperanno al progetto sono: Giulio Perrone editore, Marcos y Marcos, Coniglio editore, EdizioniSabinae, Baldini e Castoldi Dalai, Bompiani, Memori editore, Adelphi.



Catalogo:
GIULIO PERRONE EDITORE
Maria, ritratto della Callas, Nadia Stancioff
Sulla mafia, Dacia Maraini
Agata Christie - E il mistero della sua scomparsa, Jared Cade

EDIZIONISABINAE
Greta Garbo, diventare star per sempre, Italo Moscati

MARCOS Y MARCOS
Cercando Alice, di Camilla Trinchieri

BOMPIANI
Una brava ragazza, Joyce Carol Oates
Senor PEREGRINO, Cecilia Samartin
Tutta mio padre, Rosa Matteucci
L’atlante del desiderio, Anuradha Roy
Un’estate fa, Camilla Baresani
L’agenzia dei desideri, Dominique Mainard
L’amore è un mostro, Carol Topolski

CONIGLIO EDITORE
Jula de Palma Tua per sempre autobiografia della signora del jazz italiano
Peculia, Richard Sala
Fragola e cioccolato, Aurélia Aurita
Thank Girl – The taste of paradise, Hewlett & Martin
Eighties Colours, Roberto Calabrò
Le ragazze dei capelloni, icone femminili beat e jé-jé 1963-1968, Franco Brizi

ZONA EDITRICE
Amori senza diritti, Mimma Scigliano

MEMORI EDITORE
Senza Pacs – Storie di coppie senza diritti per amore o per forza, Raffaella Ammirati e Federica Iannetti
Mobbing – Storia di una donna che non si arrende, di Caterina Ferraro Pelle

e le novità di Adelphi (ancora stiamo decidendo)


Tutte le collane sono double face e da un lato ogni elemento ornamentale mostrerà stralci di La signora Bovary, di Gustavo Flaubert, in un edizione Rizzoli del 1950.

A presto,
Rose

lunedì 19 luglio 2010

ELEMENTI ORNAMENTALI per le Collane di LIVRES & BIJOUX - INNAMORATI PER L'OCCASIONE





Cosa può contraddistinguere e cambiare nel progetto di Rose per la seconda edizione di Livres & Bijoux?, questo era il quesito principale di Rose dopo la mostra di dicembre.
L’inverno è la stagione ideale e magica per scrivere, creare, ascoltare, ma anche per permettere alle idee di invadere le nostre giornate con la stessa freschezza e irruenza di una pioggia invernale. A Rose piace credere che le idee nascono lassù, mentre gli occhi puntano e fissano il cielo per un po’. Poi si evolvono lungo il cammino e quando la pioggia atterra su strada e si fa pozza d’acqua significa che anche l’idea è pronta per essere realizzata. Ma dal cielo alla terra ci vuole pazienza.
Rose si concedeva molta pazienza non appena capiva di voler creare lei stessa degli elementi decorativi per le collane della seconda collezione di Livres & Bijoux.
E così trascorreva diversi pomeriggi tra negozietti vintage di via del Governo Vecchio, usati d.o.c., ferramenta, librerie dell’usato, mercatini romani, chiacchierando con il signor Dante (il tappezziere), chiedendo consigli ai commercianti della coloreria…
Poi nascevano delle idee. Rose sceglieva di provare la realizzazione di alcuni elementi ornamentali utilizzando come base il sughero, poi i feltrini delle sedie… e alla fine si ricordava gli anni che amava lavorare il das, e anche la sua passione per la cucina, fare i biscotti con tutte le formine che riusciva a trovare per casa.
E così l’ultima prova è divenuta quella definitiva.
C’è un negozio di casalinghi meraviglioso a via Alessandria. Apriva le saracinesche cinquant’anni fa e tutt’oggi le insegne fuori, la luce a neon dentro, la conduzione familiare di una coppia di proprietari anziani seduti dietro la cassa sembrano essere lì a confermare “l’età”di questa vecchia bottega.
Rose ama moltissimo perdersi tra gli scaffali di elettrodomestici e attrezzi vari per la cucina. Lì c’è un enorme scaffale con numerosissime formine e delle forme più impensabili per cucinare i biscotti. Più in fondo nel reparto giocattoli espongono il das bianco e anche quello color ceramica.
Rose tornando indietro acquistava poi un piccolo matterello e una scatola di stecchini. Il barattolo di colla effetto opaco per il découpage.
Si fermava poi dai libri usati a Conca d’Oro. Doveva ritirare alcune riviste. Tra queste Clic, una vecchia rivista di Fotografia, e Skorpio, che francamente però non si è sentita di tagliare per il découpage.
Così ad ogni modo stanno nascendo gli elementi decorativi delle nuove collane di Livres & Bijoux – Innamorati per l’occasione.
Perché le idee per Rose si evolvono lungo il cammino e sono come la pioggia. E quando la pioggia atterra su strada e si fa pozza d’acqua significa che anche l’idea è pronta per essere realizzata.

venerdì 16 luglio 2010

Rose e la seconda edizione di LIVRES & BIJOUX - INNAMORATI PER L'OCCASIONE




È tempo d’estate.
E l’estate per Rose si è trasformato nel momento ideale per lavorare al progetto Livres & Bijoux.
Il freddo , il fresco, la pioggia, i viaggi con gli amici di sempre tra Bruxelles e Lisbona sono stati l’energia migliore per dedicarsi ai vari progetti di scrittura che restano l’Amore principale di Rose e continueranno a vivere anche durante “le vacanze”. Ma Livres & Bijoux Rose l’aveva semplicemente accantonato.
L'aveva messo da parte per cercare nuove idee, altre pietre, un format leggermente differente per la serata di presentazione e si è concessa così il tempo che le sembrava necessario per perfezionare il progetto e rimettersi poi sul suo lavoro. Le è servita tutta la pausa che si è presa e adesso che ha pianificato tutto è il tempo di realizzare, promuovere...
E di rilanciare così l’appuntamento con la seconda edizione di Livres & Bijoux – Innamorati per l’occasione che sarà a Dicembre, così com’è stato nel 2009. Una bella serata, un delizioso successo.
Rose per il momento annuncia semplicemente che alcune variazioni le ha appuntante ascoltando i consigli e i commenti di chi c’è stato, ha acquistato e partecipato alla serata.
Altre sono frutto semplicemente dell’influenza che hanno nella vita di Rose verbi come: cambiare, migliorare, costruire e creare. E in questo progetto vivono nel desiderio, peraltro principale, di assegnare al Libro più importanza della Collana-bijou.
“Per questo, scrive Rose, lavorerò a una collezione fatta di pezzi unici per gli editori che partecipano al progetto. Ogni casa editrice che ha aderito avrà una collana i cui elementi decorativi saranno handmade attraverso un lavoro di découpage con le cover di copertina. E le restanti collane, invece, saranno infilate con elementi decorativi realizzati con il das e un lavoro sempre di découpage seppur prodotto con immagini selezionate da riviste contemporanee e di moda di altri tempi procurate ai mercatini dell’usato” (presto i dettagli su tutto: riviste, case editrici, titoli, collane...).
Qualche idea di elemento ornamentale delle collane qui, in visione per Voi!
Oggi è solo per dire che per Rose è tempo d’estate, ma è anche il tempo di Livres & Bijoux- Innamorati per l’occasione.

Il progetto seconda edizione Livres & Bijoux- Innmorati per l’occasione è dedicato a Barbara, Paola e Silvia. Le amiche di Rose che a dicembre saranno mamme da poco.
A presto, Rose

mercoledì 16 giugno 2010

LA RESA DEI CONTI, di I. Borghese

a Luigi e a Riccioli d'Oro


Sofia ha amato un uomo per molto tempo e di quell’amore Sofia ne ha fatto un dono prezioso per sette anni.
Poi così come la vita all’improvviso sapeva mostrarsi cruenta, visionaria e delirante anche l’amore per Sofia acquisiva solo un peso insostenibile. E Già. Amare si trasformava in una rima stupida e diveniva d’improvviso un non sopportare e voler osteggiare ad ogni costo l’amore stesso.
Sofia negli anni e in quelle finissime sfumature dure di vita quotidiana affinava col tempo un’indiscussa capacità: cominciava senza rendersene conto a prendere troppa confidenza e familiarità con sentimenti sgarbati, sconvenienti, instabili. Scopriva che la vita di Beniamino negli anni e con lentezza l’aveva condotta in una strada che, paradossalmente, prendeva distanze determinanti dall’amore. Sofia che amava il silenzio, la stabilità, la cura, la delicatezza, a poco a poco si ritrovava a sopravvivere e convivere con la confusione, la noncuranza di sé, la sfrontatezza, l’instabilità delle cose e di ogni sfumatura e questione che la circondava. E così i racconti di Sofia che nero su bianco vomitano brutture, sentimenti duri, devianti, deliranti e a volte d’abbandono, non avevano che un pregio: mettere Sofia ogni volta di fronte a quello che il tempo, le circostanze e la vita avevano fatto di lei e che lei per anni aveva dimenticato o rimosso e vissuto con troppa voracità.
Capiva che aveva accolto e si era posta nella sua vita malamente e per lunghi anni un unico obiettivo e finalità: prendersi cura di Beniamino e incedere con iniziale inconsapevolezza verso l’allontanamento da se stessa. Ha la eco di un sacrificio tutto questo. Ma un sacrificio che a lungo andare si presentava nell’esistenza di Sofia come un’assoluta strategia di vita, un’autodifesa, o chissà, una semplice e inconscia arma di sopravvivenza, che dir si voglia.
E i sacrifici hanno il dono e il privilegio di essere un’offerta che si rende a qualcuno, a qualcosa. Sono una rarissima ma potentissima forma d’amore, di generosità, proprio come la scrittura; e come la scrittura sono necessari, vivono e richiedono costante pazienza, cura, tempo e dedizione.
Quando Sofia sceglieva di abbandonare l’amore era il tempo in cui aveva radunato tutte le sue magagne passate, ma percepiva indispensabile donarsi solo al sacrificio perché come per ogni questione anche per le sue faccende era giunto il momento della resa.
La resa di Sofia arrivava col fare di una cosa elaborata negli anni ma con l’impeto di un qualcosa di imprevisto e accecante.
Lei non aveva alcun dubbio che la vita fosse un dono prezioso tanto quanto sapeva che con questo mondo che è farsa e apparenza non voleva avere nulla a che fare. Il ricordo della gravidanza di Irma ne era stata una chiara dimostrazione: un’allettarsi di sei mesi assolutamente necessario per farla venire al mondo. Ma non ci sarà forse un motivo perché qualcuno sceglie di non nascere? Ci vuole una generosità e una grazia inestimabile per capire che il diritto alla morte talvolta richiede un rispetto assoluto e doveroso. Sofia, raccontavo, nasceva però; e poi cresceva immersa a occuparsi delle questioni di Beniamino, conoscendolo padre e scoprendolo uomo, ma un uomo-padre e malato da sempre, allora sempre assai diverso nei modi e nel dire e da un giorno all’altro senza preavviso, senza chiedere permesso. Allora Sofia scappava da lui, ma poi la responsabilità e l’amore fatto anche di odio e brutture la rigettavano in casa, sempre. E poi le cliniche, il suo rapporto ambiguo e promiscuo in certe situazioni, la storia del suo matrimonio con Irma, Il matrimonio degli altri, appunto. E il suo essere padre, Apprendista sempre ma sempre anche in bilico tra uno stato di indecorosità e dignità oltre misura. Immancabilmente risultava sempre così eccessivo, o da una parte o dall’altra. Era così il padre che scovava a letto di un’altra madre, lo sguardo di Sofia che dimenticava l’andare di certe giornate amare e che ahimè, poi, la memoria andava a ripescare a distanza di anni. Era chi l’aveva privata per anni dei parenti più vicini e Sofia ancora lì a cercare la normalità – che non esiste e che credeva però di meritare-. Allora si metteva lì a costruirsi la sua famiglia congeniale e meritevole. Sfornava nonni a iosa, zii, cugini, padri e madri a sua immagine e somiglianza, faceva la Pasqua con una famiglia Pasquetta con un’altra, e piangeva morti che non avevano il suo stesso sangue. Addobbava alberi che non erano il Natale tra le mura di quella casa di famiglia e lì dentro invece aspettava la mezzanotte. Col nascere del bambinello lei avrebbe percorso altre strade, avrebbe abbandonato una tavola bandita a festa di torroni, pan forti e spumante per affacciarsi più spontanea a discettare con la famiglia scelta da lei e gustare quella pinta che in quel giorno misero e ipocrita era il dono più gustoso che ammetteva. Le famiglie che Sofia si costruiva e portava con sé ogni volta erano sempre molto accoglienti e amorevoli. Ammirava estasiata Patrizia e Piero, il loro modo di essere genitori, la cura che mettevano nelle questioni familiari e anche quel fare generoso e accogliente che aveva fatto di Sofia la loro quarta figlia. Incontri come questi erano i soli a cui Sofia sapeva dedicare e mostrare attenzione e dedizione, a cui sapeva di dovere molto, assegnare un valore. Li catalogava allora tra le poche faccende preziose mentre Sofia continuava a vivere nel suo strambo modo di incedere.
E scoprire poi che catalogare cose e persone e vivere la vita come fosse un incastro di vari scompartimenti e per ognuno dei quali Sofia era in un modo assai differente, era la sua migliore attitudine. Del resto lei che conosceva il fare e il disfare di un Beniamino che ammetteva nelle questioni solo il nero e il bianco, maturava l’indispensabile e reale necessità di fare della vita un campionario di sfumature assai diverse e relative a persone, situazioni e momenti molto distinti tra loro.
Allora Sofia la ritrovavi lì beata e rigenerata a custodire il bene ricevuto da chi incontrava per caso, o per strada e nel reputarlo assolutamente prezioso e meritevole. Le sembrava sempre di non aver tempo, modo e intenzione di metterlo via. Era piuttosto la sua salvezza e l’unico modo con cui lei imparava e voleva vivere e per cui riusciva a dare un grande valore a questa esistenza che le apparteneva malamente e che l’aveva voluta al mondo per forza contro la sua stessa volontà.
Sofia era le storie raccontate a episodi tra queste pagine, storie narrate a pizzichi e bocconi e che nel corso degli anni avevano scelto di riaffiorare tra i ricordi che con evidenza dovevano trovare una loro collocazione e che le richiedevano continuamente tempo e pazienza per ricondurla ogni volta in uno spazio e in un tempo che fin troppe volte era caos e interrogativi. Si presentavano come confuse a volte e stralci di ricordi e flashback riprovevoli.
Erano poi l’innegabile conferma che le questioni prima o poi riaffiorano sempre e malamente: all’epoca si vomitavano addosso a Sofia tutte insieme, in una delirante danza d’abbandono e quando era il tempo in cui forse Sofia non aveva più posto di assorbire e contenere. Quello della resa, appunto.
E il tempo della resa può essere un momento assolutamente decisivo, totalizzante. Il momento che mettersi lì a fare i conti può essere inteso solo e necessariamente come lo scrollarsi di dosso ogni cosa, perché nel calderone di brutture e malessere di una vita assai tormentata anche l’amore riusciva a perdere la sua purezza e il suo essere a mischiarsi invece col tutto. Va da sé che Sofia lasciava quell’uomo consapevole che lasciare per lei era a prescindere un verbo che la avvizziva. Già. Ma era una scelta e Sofia doveva necessariamente scegliere. Quando lei metteva nero su bianco le sue storie in quelle pagine che diventavano una pubblicazione ormai nascosta. Sofia rifletteva sul suo lungo percorso, inconsapevole che avrebbe trascorso anni ancora più sofferti. Gli anni che dovevano essere i migliori della sua vita divenivano quelli in cui lei tra lesionismo, sensi di colpa e malessere paventava una paura indescrivibile che il male di Beniamino un giorno si sarebbe riversato anche nella sua vita. Temeva con ferocia che la diagnosi di Beniamino prima o poi avrebbe fatto capolino nella sua quotidianità invadendo e senza possibilità di appello il resto della sua vita.
Così Sofia sceglieva di correre al riparo e di preservare qualunque affetto profondo possedeva e avrebbe avuto dalla sofferenza che invade inevitabilmente chiunque abbia a che fare con persone che vivono con certe patologie. Ecco il momento della resa dei conti: e Sofia nel timore di far soffrire poi quell’uomo decideva di sbarazzarsene. Lo faceva dettata da quest’istinto di protezione, ma sceglieva di farlo anche in quattro e quattro otto senza voler nemmeno andare a fondo e sincerarsi con l’amato. Lasciava piuttosto che sgorgasse la sua voce fluida e con motivazioni sciocche e banali; quelle che dimenticarle è stata un’inezia.
Pensare ed elaborare che a un certo punto l’amore non può appartenere alla propria vita è una questione che Sofia viveva in due direzioni opposte. Si sentiva nobile e generosa verso chicchessia, ma anonima e avara verso se stessa. I buoni sentimenti del resto hanno sempre prevalso nel suo modo di essere. Allora Sofia si confortava da sé, conosceva il peso della sofferenza in modo tangibile e sceglieva a distanza di anni di voler rimproverare a Beniamino e Irma le manchevolezze che le avevano preservato. E da molti anni ormai ci metteva sempre la sua buona dose di severità nel confezionare per gli apprendisti giudizi assai spietati. E il suo pensiero restava unico a trasformarsi in una domanda che mai nessuno avrebbe avuto la capacità e il buon senso di padroneggiare con una risposta dignitosa: perché mai mettere al mondo una figlia che non vuole nascere? Perché mai mettere al mondo creature per lasciarle allo sbando e sottoporle a continue pene? L’amore, quello che conosceva Sofia confrontandosi col mondo esterno da casa Brienza aveva molto a che fare anche con la responsabilità. Lei non avrebbe mai voluto entrare nelle questioni personali tra Irma e Beniamino. Aveva difficoltà persino a entrare nella loro storia, ne sapeva ben poco tra l’altro. Sapeva bene però che i sentimenti sono spesso l’andare irrazionale di moti dell’anima e allora ben venga l’amore degli apprendisti, nonostante la malattia di Beniamino. Il loro matrimonio era un affare che conteneva solo loro due, avrebbe dovuto bastare ad entrambi. Gli apprendisti avrebbero dovuto sapere e capire che il loro amore doveva bastare a se stessi, ché l’amore è irrazionale, certo, ma la malattia no, allora di coinvolgere delle creature… perchè mai? Quella figlia, agli occhi di Sofia stessa che cresceva, acquisiva solo il gesto privo di generosità e di amore. Il resto manca di amore. E allora mettere al mondo dei figli in casa Brienza era solo il risultato di un desiderio naturale e irrazionale. Una scelta priva di presa di coscienza, un gesto d’amore ingenuo, superficiale, che privato di generosità pura e responsabile e armato invece di egoismo perdeva ogni consistenza e dedizione reale. Ad amarsi tra di loro senza metter al mondo figli certi apprendisti farebbero il più grande gesto d’amore della coppia e verso quei figli che non è il caso di mettere al mondo.
A prendere l’altra direzione invece Sofia si affacciava a una nuova vita, senza sapere quale potesse essere il vero ritmo di una vita senza amore. Immaginava di potersi mettere lì a privarsi dell’amore come sapeva privarsi di un paio di scarpe vecchie, ché alle scarpe lei teneva molto. Erano necessarie, piacevano al mondo, quello della farsa e delle apparenze e a cui Sofia riusciva a dare un’immagine personale di sé con estrema nonchalance. Allora sì d’impatto le sembrava un’operazione da poco: se buttava le scarpe vecchie allora Sofia poteva buttare anche l’amore.
Decideva di mettersi in guardia da sola, tenersi sott’occhio, sbrigare ancora le questioni di Beniamino, ma senza intralci amorosi. E poteva restare a guardarsi, a spiarsi, e se un giorno mai quella malattia l’avrebbe colpita allora sarebbe stata fiera di sé, perché avrebbe compiuto il più grande gesto d’amore della sua vita: non avrebbe coinvolto nessuno.
Per anni questa scelta l’aveva portata a riversarsi coi tacchi alti nei bassifondi, era il suo modo di vivere in qualche modo lo stesso. Del resto sebbene avesse preso un tacito accordo con l’amore che prevedeva l’ignorarsi a vicenda, le pulsioni sessuali e sentimentali non erano certo roba da poter eliminare a tavolino. E così le relegava in posti, situazioni, ambienti e soprattutto con uomini dei quali Sofia sapeva non potersi mai innamorare, perché avrebbero sempre preferito gli uomini a lei. In compenso le potevano regalare affetto, molto, e qualche momento di appagamento sessuale; poi convogliare quel rapporto verso altre direzioni, anche verso nessuna talvolta, sarebbe stato assai facile.
Del resto Sofia il più delle volte viveva le situazioni ai margini, era il suo modo: osservare, percepire, ma non entrare troppo a fondo, ché a entrare dentro le cose spesso è come buttarsi in un fuoco che divampa. Calarsi nei posti, gironzolare con un drink in compagnia, sorridere, chiacchierare e disperdere poi lo sguardo all’orizzonte era sempre il suo fare.
Forse era un vivere a metà, un preservarsi, un sopravvivere o anche solo l’unico modo che col tempo affinava per proseguire. Nell’attesa, forse, che un giorno quella patologia l’avrebbe invasa con urgenza o di soppiatto.
E se poi la malattia non l’avrebbe mai colta? Avrebbe perso tutta la sua vita ingannandosi che senza amore in questo mondo ci si può stare lo stesso, ci si può adattare. Si sarebbe inaridita e si sarebbe avvizzita come le volte che pronunciava il verbo lasciare, che continuava a detestare.
Ma è vero sì, essere lì a controllarsi a cercare di capire quando e se la patologia sarebbe arrivata era una questione che aveva della missione incredibile: era l’annientamento di sé, era un sentirsi anonima e avara con se stessa, era noioso, sterile disumano, era lo scoprire finanche che in quei giri di giostra che sono l’altalenarsi continuo si storielle di poco conto e con uomini assai lontani da lei stessa, l’amore lei lo percepiva sempre come qualcosa che, seppur gettato via doveva tenere a bada. Già, perché aveva il suo potere e con questo provava ad affacciarsi da Sofia con indiscrezione, ma anche con la sua rispettabile e dignitosa riconoscibilità.
Per anni Sofia aveva affinato l’abilità di ignorarlo, come si fa con le cose scomode, che si sceglie di ignorare a volte.
La resa dei conti aveva presentato un conto assai amaro.
Sofia pensava a un rimedio necessario: dell’instabilità di cui la sua crescita accanto a Beniamino l’aveva forgiata voleva farne una risorsa. E ci avrebbe messo anni e anni, ma ce l’avrebbe fatta con una naturalezza quasi disarmante e un risultato forse ancora più sconcertante.



L’amore diventava altro da quello che aveva conosciuto in quella lunga storia d’amore.
Non era la quotidianità, il costruire insieme, il condividere… l’amore era tutt’altra faccenda ma lo riconosceva.
Lei sapeva di esserci vicino nel tempo che trascorreva con quell’uomo, poi lui andava via, per giorni, settimane, e c’era il nulla tra loro in quei tempi morti, che Sofia però si faceva andare bene lo stesso. Poi lui tornava o lei tornava da lui e quando erano lì a mischiarsi di nuovo tra loro a Sofia bastava un attimo ogni volta per sorridergli di nuovo e riconoscere l’amore.
In silenzio però. Ché Sofia di amore non ne voleva ancora parlare.
Ma questa è già un’altra storia.
Questa è la resa dei conti.
Tutto il resto sarebbe avvenuto poi e a meritare altre pagine.