domenica 2 maggio 2010
per Ron ron, ron ron!, evviva il gatto!, evviva il gatto: BASTET, di Silvia Ancordi
Contrariamente a quel che si possa pensare ho buona memoria. Da qualche giorno sul davanzale della stanza c’è un’enorme palla arancione vuota all’interno, con intagliati occhi e bocca. Hanno un che di mostruoso e lasciano intravedere la luce di una candela: devo stare pronta perché questo è il primo segno. Ieri sera l’umana ha sistemato la statua e disposte candele bianche per la stanza, le ha sparse per terra vicino a dove riposa, sulla scrivania e anche sopra la mia testa: m’inquieta un po’, forse è per questo che ricordo in modo così vivido. Le candele sono il secondo elemento quindi non devo far altro che aspettare il sorgere del sole.
Quando il primo raggio attraversa la finestra colpendomi ha inizio il giorno della stranezza. Le candele sono già accese. Eccola, arriva. Infila una zampa dentro la porta accostata, la ritrae e la infila di nuovo spingendo con il muso per entrare nella stanza dolcemente, lasciando che la porta si riaccosti dopo il suo passaggio. Si mette vicino al tavolo, respira il fumo di un bastoncino sottile che brucia lentamente, starnutisce e subito sfrega la zampa sul muso in modo insistente, come se il fumo fosse rimasto nelle narici scure. Ora inizia a girare per la stanza facendo attenzione a non bruciarsi la lunga coda nera con la fiamma delle candele. Ha orecchie appuntite ma non molto lunghe, ne ho viste di più evidenti. Il manto nero mi ricorda Nefer, una delle gatte più regali che sia mai passata da qui: hanno le stesse movenze eleganti e sinuose. Il bastoncino ha smesso di profumare l’aria e dalla strada arriva il vociare del mercato e del caos cittadino: ricordo ancora l’unica volta che l’ho attraversato prima di arrivare in questa casa. Con passo felpato si avvicina a una ciotola bianca, lucida, beve dell’acqua immergendo ripetutamente la lingua curva a cucchiaio, poi si sposta appena e sento che sgranocchia cibo secco e croccante ma non riesco a vederla. Si mette al centro della stanza, si ferma un attimo, osserva il cielo oltre la finestra, poi si guarda attorno, alza una zampa e la passa sul muso. Socchiude gli occhi, si sposta un altro po’, li richiude e riprende a pulirsi il muso con l’altra zampa. Cammina lenta per andare nel posto dove l’umana è solita riposare quando il sole è calato e si acciambella sul cuscino più grande. Dopo un istante si alza, inarca la schiena e ogni muscolo freme per pochi istanti come scosso in un brivido, gira su se stessa, si sdraia, si rialza, fa un secondo giro nel senso opposto e si rimette esattamente nella posizione iniziale. Appoggia la zampa anteriore sinistra sulla coda allungata vicino al corpo a chiudere il cerchio e infila la destra sotto il muso. Si addormenta. Quando dorme e non fa nulla è il momento più noioso della giornata della stranezza.
Io aspetto e osservo: la luce del sole nella stanza si sta spostando e presto scomparirà dietro il muro oltre il bordo della finestra.
Quando dormendo si gira come ora a pancia all’aria e muove le zampe come se inseguisse qualcosa fa morire dalle risate. Starà sognando. O forse soffre di qualche rara malattia. Di scatto si mette dritta e si guarda attorno con le pupille dilatate e il respiro affannato come se avesse paura. Scende dal cuscino e si rimette al centro della stanza mentre le candele si sono consumate creando pittoresche colonne di cera che si allargano in piccoli laghi solidi appena toccano il pavimento freddo. Con un secondo scatto si abbassa di nuovo, allunga il muso in avanti, raddrizza le orecchie, muove alternando le zampe posteriori stando ferma sul posto e corre vicino al giaciglio dell’umana sotto il quale infila la destra muovendola rapidamente per prendere qualcosa. Ora si sposta e si appiattisce ancora a terra poi corre veloce verso l’angolo opposto giocando con una pallina verde e gialla. Va avanti e indietro per diverso tempo seguendone i rimbalzi, evitando abilmente ogni ostacolo, gira su se stessa come avesse un avversario con cui scontrarsi e difende la palla strenuamente, finché questa non scompare rotolando sotto la cassettiera di legno a fianco della scrivania. Insiste cercando di afferrarla con la zampa. Controlla la posizione esatta, prova a spostarsi per cercare un punto più favorevole e ritenta. Si allontana poi indifferente e torna alla ciotola bianca per bere un po’ d’acqua. Si mette in finestra a guardare fuori e lascia la coda a piombo all’interno del marmo bianco del davanzale. Ogni tanto muove di scatto la testa seguendo il volo di qualche uccello.
Se vede piccoli insetti, invece sbatte i denti ed emette un flebile “Ma-a-ao!”
Il sole cala e nella stanza sta facendo buio: le candele più piccole si sono spente e quelle più grandi sono prossime a farlo. Scende dal davanzale e torna a controllare se la pallina sia ancora lì, ma non cerca di prenderla. Si porta verso una grande statua a forma di gatta e si struscia, dal muso alla coda, avanti e indietro, quasi la stesse corteggiando, coccolando. Si acciambella ai piedi della statua e dorme ancora. Ora anche la candela sopra la mia testa si è spenta e la camera è buia.
Finalmente smette di essere gatta e torna a essere donna: toglie il cappuccio nero, slaccia la maschera felina, scioglie i lunghi capelli biondi, apre lentamente la cerniera che va dalla gola alla pancia passando in mezzo ai seni e sfila la tuta aderentissima nera che ogni trentun ottobre la rende Bastet, la dea con il corpo di donna e la testa da gatta, simbolo di fertilità e prosperità. Raccoglie la cera delle candele da terra e dal tavolo e poi finalmente si avvicina a me dopo aver chiuso la tenda della stanza e acceso la luce. Toglie la cera sopra il coperchio dell’acquario, lo apre e finalmente si ricorda di me: va bene che sono una tartaruga ma anche io ho fame.
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Bello questo racconto, ci si arriva lentamente a capire, prima è solo sensuale atmosfera.. complimenti a Silvia!
RispondiEliminaMonica
Bello, Silvia! e sempre pieno di quel fascino mitico che ti contraddistingue.
RispondiEliminami è davvero piaciuto. tutto. l'atmosfera, le movenze di bastet (grande silvia, che ha ricordato la dea gatta per eccellenza!), la felinità. e, secondo me, la chiusa è deliziosa.
RispondiEliminacondivido in pieno il commento di monica. un brano che lentamente sembra spogliarsi e mostrare tutta la sua bellezza.
RispondiEliminasilvia vi ringrazia tramite me perché non riesce ad accedere al blog.
Rose